Il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, detenuto a Terni al 41 bis, ha negato di “essere stato mai in Calabria e di conoscere i Piromalli”.
L'ha fatto collegato in videoconferenza, dopo aver chiesto di rilasciare dichiarazioni spontanee ai giudici della Corte d'appello di Reggio Calabria al processo sulla 'ndrangheta stragista. L'udienza di oggi prevedeva il prosieguo delle arringhe degli avvocati della difesa.
Il boss di Cosa nostra ha poi contestato numerose dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che lo hanno chiamato in causa, affermando la sua totale estraneità alla strategia stragista, negando persino l’esistenza della ‘doppia affiliazione’ alla ndrangheta e a Cosa nostra.
Secondo Giuseppe Graviano, i collaboratori di giustizia “hanno raccontato fatti per sentito dire”.
Per Graviano e Rocco Santo Filippone, accusati di essere i mandanti degli agguati ai carabinieri nel reggino tra il 1993 e il 1994, culminati con il duplice omicidio dei sott’ufficiali Antonino Fava e Vincenzo Garofalo il 18 gennaio del 1994, il Procuratore generale di udienza, Giuseppe Lombardo, a conclusione della sua requisitoria, ha chiesto la conferma della condanna di primo grado: l’ergastolo.