Il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, proseguendo nella sua requisitoria nel processo ‘Ndrangheta stragista, ha individuato “alcune ‘famiglie’ apicali di ‘ndrangheta, come i Piromalli e i De Stefano”, come presunte mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo e di altri due attentati nei confronti di militari dell’Arma consumati a Reggio Calabria tra la fine del 1993 e l’inizio del 1994.
“Giuseppe Calabrò e Consolato Villani – ha sottolineato il rappresentante dell’accusa – agirono da soli, ma su richiesta di Rocco Santo Filippone, zio acquisito di Giuseppe Calabrò, “con l’obiettivo di seminare il terrore in Calabria, in maniera indistinta e feroce, contro i carabinieri , una decisione che poteva essere presa solo dai vertici della ‘ndrangheta”.
Secondo il Pg, “i Piromalli e i De Stefano, furono tra i primi in Calabria, come si evince dalle testimonianze di Buscetta, Vitale e Pennino, riprese in alcune sentenze, a ricevere la doppia affiliazione nella ‘ndrangheta e in Cosa nostra. Peraltro – ha detto ancora Lombardo – Tommaso Buscetta, per un periodo, fu ‘ambasciatore’ presso i Piromalli per conto di cosa nostra”.
Giuseppe Lombardo, ancora, ha affermato che “la forza dei Piromalli e dei De Stefano scaturisce dalla vittoria della prima guerra di 'ndrangheta, del 1974, a Reggio Calabria, contro il boss Mico Tripodo, e trasformano la 'ndrangheta in quel mostro criminale che è oggi. In tal senso esistono riscontri non solo fattuali, ma storici e logici”.
Giuseppe Lombardo, inoltre, ha delineato i motivi secondo cui la' ndrangheta reggina ha deciso alla fine degli anni ’60 di modificare la linea organizzativa di rappresentanza, “a seguito del summit di Montalto, in Aspromonte, dell’autunno del 1969, e successivamente alle sentenze del Tribunale di Locri, nominando persone di strettissima fiducia al posto loro, come Rocco Santo Filippone, già menzionato dal pentito Pino Scriva negli anni ’70 come rappresentante dei Piromalli, secondo il quale sarebbe stato poco attenzionato nonostante le sue dichiarazioni”.
”La guerra totale contro lo Stato fu una decisione unitaria del sistema criminale mafioso italiano”. Lo ha affermato il Pg di udienza, Giuseppe Lombardo, nella sua requisitoria in corso a Reggio Calabria nel processo "‘Ndrangheta stragista".
Secondo il rappresentante dell’accusa, “’Ndrangheta e Cosa nostra vollero inviare un granitico messaggio per sottolineare l’unitarietà della decisione che sfociò negli attentati di Roma, Firenze e Milano, e negli attacchi agli uomini dell’Arma. D’altronde – ha spiegato – perché Totò Riina scelse come compare d’anello il defunto boss Mico Tripodo, se non per sottolineare che erano una cosa sola?”.
Lombardo, inoltre, ha indicato Giuseppe Graviano come “coordinatore delle stragi”, ricordando l’incontro tra il boss di Brancaccio a Roma con Spatuzza e la famosa frase pronunciata da Graviano “abbiamo il Paese nelle mani, e sottolineando la sua volontà di accelerare il progetto stragista con nuovi attentati perché “qualcuno voleva una ulteriore prova di forza contro i carabinieri” e ricordando lo scampato attentato contro i carabinieri allo stadio Flaminio:“Quel giorno ne dovevano morire 55”.
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