Nel film “la Sposa” di Rai Uno sulla Calabria c’è il mercato delle vacche?

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Domenico Lanciano fondatore e responsabile dell’Università delle Generazioni
  18 gennaio 2022 19:02

Sulla prima puntata dello sceneggiato televisivo “La sposa” (andato in onda domenica sera 16 gennaio) in questi ultimi giorni ho letto e sentito di tutto e di più, a favore o contro. Provo a dire la mia, come “sufficientemente esperto” del tema; come calabrese; come italiano; principalmente come tenace promotore fin dal 1982 della “Calabria Prima Italia”. Dobbiamo premettere che ancora non conosciamo le due puntate, che vedremo domenica sera 23 e 30.

Ritengo di essere “sufficientemente esperto” del tema delle spose meridionali in centro e nord Italia, perché ho seguito da molto vicino in Badolato (CZ) e dintorni parecchie di queste vicende (alcune delle quali hanno toccato mie cugine) fin dagli anni Cinquanta. Inoltre ho studiato il fenomeno per la mia tesi di laurea. Non solo, già nel 1960-61 a dieci anni ho frequentato la quinta elementare sul lago di Garda (unico e solo meridionale in mezzo a bergamaschi e bresciani) … per il razzismo e l’esasperazione sono dovuto scappare dopo sei mesi, senza nemmeno voler terminare l’anno scolastico. E ancora oggi qualcuno di quei ragazzi mi dimostrano il loro disprezzo perché meridionale. Mentre noi abbiamo sempre rispettato i settentrionali quasi come esseri a noi superiori. Quale e quanto lavoro di “pacificazione nazionale” ci aspetta!!! … La Calabria può giocare un ruolo decisivo, specialmente culturale!

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Nel 1963-64 a Milano e dintorni ho visto pure io i cartelli “Non si affitta a meridionali” e sono stato chiamato “terùn” a iosa; e persino in un oratorio salesiano i ragazzini non mi facevano giocare perché meridionale. Potrei continuale l’elenco. Ultimamente ho scritto un piccolo articolo  (https://www.restoalsud.it/in-evidenza/le-langhe-salvate-dalle-calabresi-leuropa-dalle-attuali-migrazioni/) e una breve dissertazione (https://www.costajonicaweb.it/lettere-a-tito-n-320-la-difficile-emigrazione-femminile-matrimoniale-e-contadina-in-italia-da-sud-a-nord-1945-1985/ ).

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Ho imparato dagli studi e dalla vita (ho 72 anni) che “quando non c’è Amore, c’è mercato”. Inevitabilmente. D’altra parte lo dicono antichi saggi, proverbi, filosofie e religioni. Ovvero, quando le cose NON si fanno con Amore e per Amore, c’è sempre (più o meno) una specie di contrattazione o calcolo sulla convenienza. La vicenda raccontata dal film “La Sposa” rientra nel “calcolo” spinto dalla necessità di entrambi i contraenti. Definirlo “mercato delle vacche” come hanno fatto alcuni mi sembra esagerato ed inopportuno, ma non sbagliano in senso generale. La fame fa questo ed altro e, a parer mio, non tocca la cosiddetta “morale” o il “perbenismo”. Al mio paese natìo sentivo imprecare “Kkà a fammi parra kull’angiali!!!” (qui la fame parla con gli angeli!!!) ed è tutto dire. Ogni via d’uscita era buona a quei tempi, si agiva a pancia vuota. Noi adesso ragioniamo a pancia piena (il sazio non crede a chi è digiuno, tuona un antico proverbio).

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Non so niente delle due restanti puntate, ma ciò che abbiamo visto nella prima è ben poca cosa rispetto a ciò che di orribile ho ascoltato da parecchie donne (anche di altre regioni meridionali). Ci sono state, ovviamente, situazioni di grande rispetto, ma usualmente le donne del sud che hanno sposato uomini del centro-nord hanno sofferto discriminazioni e razzismi in famiglia e in società, persino violenza fisica oltre che morale. E’ stata davvero dura. Bisognerebbe fare loro un monumento e, comunque, dare loro il giusto rispetto ed un’adeguata memoria storica e sociologica (cosa che ancora è assai carente). Sono state giganti di sopportazione e di sacrifici. Ed hanno portato, un po’ ovunque, preziosi valori solari ed umanistici rendendo migliori quei luoghi e quelle nuove comunità (come ho ascoltato dagli stessi settentrionali più riconoscenti e grati).

Nel film Rai “La Sposa” la protagonista ha dimostrato di essere andata in Veneto, a lavorare sui campi e nella stalla, pure per portare “Amore” non solo come donna ma anche come “umanista” di un’antica tradizione calabrese e meridionale in genere che affonda le radici non tanto nella cosiddetta “Magra Grecia” come sostengono taluni, ma addirittura nella “Prima Italia” poi diventata pure “pitagorica” dove non esisteva la schiavitù e le donne erano libere, partecipi ed emancipate. Abbiamo tutti notato che il “promesso sposo” veneto si chiama “Italo”. Forse non a caso. Italo è un nome nato in Calabria, proprio come il nome “Italia”. Ma nel territorio italiano quasi nessuno sapeva nel 1983 (quando ho fatto un’indagine nazionale in 20 scuole superiori, due per regione) dove fosse nato il nome “Italia” e cosa volesse significare: il 99% tra gli studenti e il 95% tra i docenti. Non so quali e quanti passi avanti abbiamo fatto a riguardo, ma sicuramente le percentuali saranno ancora molto alte. Purtroppo pure da noi in Calabria.

Sono sempre stato convinto che i calabresi emigrati nel resto d’Italia o all’estero avrebbero vissuto e vivrebbero ancora la propria emigrazione con più orgoglio se sapessero che la Calabria ha dato nome all’Italia e che la nostra Terra è stata fondamentale per tutto il resto del mondo…. Se sapessero che la nostra apparente arretratezza ed evidente povertà sono frutto di ben 22 invasioni di eserciti che ci hanno ripetutamente depredati e violentati, ma siano rimasti fedeli alla nostra più profonda cultura e civiltà … quella della “Prima Italia” che andrebbe valorizzata a tal punto che sogno di sapere che l’ente Regione si chiamerà proprio “Calabria Prima Italia”! Allora sì che noi calabresi avremmo raggiunto la piena consapevolezza del nostro valore!

Ovunque sia stato mi sono sentito di un’altra e migliore civiltà. Più umana, più altruista ed accogliente da secoli, più solare nell’anima e nel corpo. Spero tanto che queste tre puntate de “La Sposa” su Rai Uno siano una preziosa occasione per riscoprire la nostra più antica dignità, che non può e non deve essere scalfita né dalla nostra povertà derivata dalla spoliazione continua di millenni (per la quale dovremmo essere risarciti in qualche modo) … né dal razzismo che ancora esiste ed è diventato più subdolo (diritti negati, altre predazioni, vessazioni, ingiustizie, corruzioni, ecc.). Ed insisto che dovremmo conoscere ed amare di più il periodo della Prima Italia, quando re Italo (3500 anni fa) con i “sissizi” ha inventato la vera “democrazia partecipativa” che poi si è diffusa in tutto il Mediterraneo (come afferma Aristotele nella sua Politica) e che in Atene gli antichi Greci hanno trasformato in “democrazia mercantile” quale abbiamo ancora adesso con tutti i difetti e i pregi della globalizzazione. – stop –

Domenico Lanciano

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