Sulla falsariga di quanto riportato dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Mauro Palma, in un comunicato datato 26 aprile - in cui viene smentita la notizia secondo cui in alcune carceri si registrerebbe uno stato di allarme per la positività al Coronavirus di centinaia di persone detenute – il Garante regionale, Agostino Siviglia, fornisce ulteriori rassicurazioni al riguardo.
Contattato telefonicamente dal CSV di Catanzaro, esprime viva soddisfazione per il senso di responsabilità dimostrato dai detenuti e dagli agenti penitenziari calabresi, che ha portato a non registrare alcun caso di positività al Covid 19 nelle carceri della nostra regione. “Nessuna rivolta, nessuna criticità di rilievo ha accompagnato la sospensione di tutte le attività all’interno delle carceri, all’indomani delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria –ha chiarito il Garante – Non è stato facile per i detenuti accettare ulteriori limitazioni, soprattutto non godere più delle visite dei parenti, ma essi hanno compreso la gravità della situazione e si sono riadattati alle nuove disposizioni, così come hanno fatto gli agenti, gli educatori, i cappellani, i medici e gli infermieri, e tutti coloro che operano nelle carceri”.
I dati della realtà carceraria ricalcano, quindi, la diffusione geografica del virus, essendo i casi di positività (138 i detenuti, 13 dei quali ricoverati in ospedale, e 230 gli agenti penitenziari) concentrati nelle regioni in cui è maggiormente estesa la pandemia, ovvero la Lombardia, il Piemonte e il Veneto. Sono, invece, dieci le regioni in cui non si registra alcun caso di positività (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia), oltre alla Provincia autonoma di Bolzano.
Ma lo stesso Garante nazionale, nel comunicato diffuso qualche giorno addietro, fa riferimento all’opportunità di non abbassare il livello di guardia per tutelare chi vive in carcere, chi vi lavora, e la comunità esterna a cui le persone detenute torneranno una volta scontata la loro pena. E nell’attività di monitoraggio costante delle condizioni di tutela della salute in carcere e di rispetto dei diritti di tutti, il Garante continuerà ad avvalersi della collaborazione dell’Amministrazione penitenziaria, della rete del Garanti territoriali e delle realtà del Terzo Settore: “Tutte le attività laboratoriali e sportive portate avanti con gli operatori di enti e associazioni di volontariato sono state, ovviamente, sospese – chiarisce Siviglia – Rimangono in piedi, invece, le ore di didattica online per quanti devono conseguire il diploma o superare un esame universitario. Possono disporre, infatti, di tablet e smartphone per lo studio, ed anche i colloqui con i parenti si svolgono ormai via Skype”. Rimane in piedi, invece, l’attività manuale delle detenute del carcere di Reggio Calabria, che proprio in questi giorni stanno confezionando mascherine da distribuire all’esterno, nel momento in cui otterranno il visto da parte dell’Istituto Superiore della Sanità.
Per quanto riguarda, poi, la flessione del numero di detenuti che si è registrata negli ultimi tempi ( 53.658 sono oggi le persone soggette a restrizione, in base a quanto riportato dal Garante nazionale), e che non ha fatto eccezioni, neanche tra i sottoposti al carcere duro, Agostino Siviglia tiene a puntualizzare, facendo riferimento a quanto stabilito dal codice penale e di procedura penale: “L’applicazione della legge “svuotacarceri” con il decreto “Cura Italia” si giustifica con la finalità di contrastare la diffusione del contagio, e permette a chi abbia da scontare pene inferiori ai diciotto mesi di trascorrere la propria detenzione ai domiciliari. Nel caso, invece, dei condannati per reati più gravi di cui tanto si discute in questi giorni, le misure anti-coronavirus rappresenterebbero solo una “concausa” di un principio cardine garantito a più livelli dalla giurisprudenza, che è la tutela della salute- conclude il Garante regionale dei diritti delle persone detenute – Laddove, infatti, si tratti di un detenuto avanti negli anni o che presenti uno stato di comorbilità con altre patologie, è chiaro che il regime carcerario sia incompatibile con la sua stessa sopravvivenza, qualora dovesse anche contrarre il virus”.
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