di MARCO VALLONE
Ha avuto avvio nel tardo pomeriggio di ieri, presso l'affascinante sede del Parco archeologico Scolacium di Roccelletta di Borgia, il ricco calendario di eventi legato al progetto SuperScienceMe 2024, cui l'Università Magna Graecia di Catanzaro ha aderito al fine di partecipare con gioia alla Notte Europea delle Ricercatrici e dei Ricercatori. Tema di questa edizione è il seguente: "Inclusione e Coesione".
Il progetto, che vede la collaborazione dell'Università della Calabria, dell'Università Mediterranea, dell'Università degli Studi della Basilicata, del Consiglio Nazionale delle Ricerche e della Regione Calabria, ha lo scopo di promuovere la piacevolezza e il grande impatto della ricerca nel territorio calabrese.
Primo evento in programma è stato il “Prequel by the Sea” dal titolo “Libertà: parola femminile plurale”, che ha ospitato le relazioni di Sara Chessa (giornalista attiva nel Regno Unito, impegnata nell'ambito dei diritti umani e della libertà d'informazione, che ha seguito in modo piuttosto approfondito il caso di Julian Assange) e di Suor Nicoletta Vessoni (operatrice nei luoghi di pena e di cura). Avvalsosi della moderazione del sociologo Emilio Gardini, il dibattito ha visto la partecipazione anche delle professoresse dell'UMG Maria Laura Guarnieri e Claudia Atzeni.
L'evento ha inoltre previsto i saluti di Aquila Villella, Direttrice del Dipartimento di Giurisprudenza, Economia e Sociologia dell'UMG; Rossella Barillari, Presidente FIDAPA Italy, sezione di Catanzaro; Francesco Iacopino, Presidente Camera Penale Cantafora; Maria Teresa Laurito, Presidente ANFI, sezione di Catanzaro; Enza Matacera, Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Catanzaro.
La giornalista Sara Chessa, relativamente al tema della libertà, ha sottolineato come, quando si parla di essa, sia importante “soprattutto la nostra consapevolezza di avere delle libertà, di avere dei diritti fondamentali che sono inseriti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'essere umano, e che sono inseriti nel sistema dei diritti umani più in generale. Il caso Assange ha rappresentato veramente un attacco contro il sistema dei diritti umani e un attacco contro le nostre libertà fondamentali. In particolare ad essere più colpite erano la libertà di stampa, la libertà d'informare e il diritto alla conoscenza, cioè quella cosa che è fondamentale per la democrazia. Quindi ogni volta che noi decliniamo la parola libertà dobbiamo ricordarci dell'importanza che ha anche al fine di avere un sistema effettivamente democratico: se un cittadino non può valutare l'operato dei governi, non può neanche esprimere una valutazione reale sul fatto che quel governo si stia realmente occupando dell'interesse pubblico oppure no. Ecco perché un giornalismo libero, per esempio, la libertà d'informazione di cui il giornalismo ha bisogno, permette al pubblico di capire se, dietro la facciata, un governo stia facendo davvero l'interesse dei cittadini. Questa è una delle tantissime declinazioni del concetto di libertà. – ha proseguito la giornalista – Abbiamo citato il caso Assange perché lui è un giornalista che ha veramente servito il diritto alla conoscenza, e dunque l'interesse del pubblico fino in fondo. Ha permesso al mondo di capire cosa fossero davvero le guerre in Iraq e in Afghanistan: violazioni dei diritti umani dei civili, iracheni e afghani, costanti. Quindi vediamo che c'è sempre un impatto quando la parola libertà è coinvolta, e se io rimuovo la libertà d'informare tocco un diritto che è di tutti: il diritto alla conoscenza. Assange lo ha servito e il sistema si è scagliato contro di lui. Perciò dobbiamo sempre ricordarci di questo: quando parliamo di libertà e di diritti fondamentali la cosa centrale è che la società sia sempre più consapevole che questi diritti esistono. Quando non ne siamo consapevoli, quando non sappiamo di avere diritto ad avere un giornalismo libero che ci informi e che sia veramente al servizio del nostro diritto alla conoscenza, non possiamo neanche crescere interiormente, non possiamo neanche svolgere il nostro dovere di cittadini all'interno di una democrazia. Questo è un esempio che mi sento di fare”.
Suor Nicoletta Vessoni, volontaria da 10 anni nella Casa Circondariale di Catanzaro, situata nel quartiere Siano, da parte sua ha affermato come non esista “ambito dove non mi affaccio o luogo dove non entro. E questo mi dà una grande possibilità di accostare la gente, incontrandola in un discorso molto immediato, e incrociandone i bisogni primi. Racconto qualche aneddoto: un giorno sono entrata, e casualmente sono passata dalla media sicurezza, il cancello vicino all'ufficio dell'ispettore. C'era un ragazzo che urlava, e che diceva 'ascoltami, ascoltami'. Mi fermo, e chiedo alla guardia se per favore potesse aprire il cancello. Fatto questo, l'ufficio era libero e quindi sono entrata. Questo ragazzo era lì da 3 giorni, e in un dieci minuti mi ha raccontato la vita, e mi son chiesta come fosse possibile a 27/28 anni una vita così. Come ha fatto la vita a creare tante situazioni di dolore e di fatica? Questo ragazzo mi ha confidato come avesse proprio bisogno di poterlo raccontare a qualcuno. Stavo scoppiando: questo è il mio compito, di intercettare a volte queste cose. Intercettare momenti e situazioni che stanno scoppiando. – ha proseguito Nicoletta Vessoni – Non faccio niente di particolare, ma qui credo che sia il grande valore del volontariato: quello di incontrare la persona. Io non faccio delle azioni, non ho una funzione, se non quella di girare. E molto spesso solo quella di ascoltare. Il tema di oggi, quello sulla libertà, è un tema al femminile. Ma il carcere è poco femminile, da tutti i punti di vista: anche chi è femmina lì dentro perde la sua femminilità, perché è un ambiente coercitivo, maschilista, rigido e punitivo. E tipicamente, mi fanno impressione, le guardie arrivano: l'ultima ondata è composta da un bel gruppo di donne, che diventano peggio degli uomini. Questo perché il sistema le massifica in un'ottica maschile. Quasi come se l'essere femmina, lì dentro, non possa avere spazio. E allora mi viene da pensare come questo sia il nostro spazio: il volontariato. Essere volontaria, in un posto come questo, mi permette di esprimere la mia femminilità. Qual è la guardia che può incontrare un uomo il giorno prima, e che il giorno dopo gli chiede 'cosa ti è successo, perché stai così'? Una volta mi è capitato di vedere in corridoio un signore che avevo visto tante volte – ha raccontato ancora la volontaria – e quella mattina ho avuto i brividi della morte. Sono andata dall'ispettore, facendogli presente che questo signore avesse già tentato due o tre volte di uccidersi, e dicendogli che io avevo respirato questo in quella mattina, incontrando quest'uomo. E così hanno chiamato un infermiere. Quindi penso che, in ambienti di questo tipo, la dimensione femminile sia importantissima. Credo assolutamente che il carcere non ci assicuri che la società sia più tutelata, anzi, apre delle frontiere che non sono viste: io ho davanti un detenuto, ma dietro al detenuto c'è la sua famiglia, se la ha, ma anche la sua famiglia d'origine, e magari anche la famiglia della moglie. E la sua famiglia entra in un'ottica di una fatica sociale impressionante: spesso chi finisce in carcere è gente povera, e la famiglia, qualora venga da fuori città, deve vivere tutto il mese per potersi concedere la visita al detenuto. E' un disagio economico, viene a mancare la figura maschile all'interno della famiglia: un soggetto vicino alla moglie, e vicino ai figli”.
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