Offese social a Ferro e Meloni, Intrieri: "Degenerazione del dibattito pubblico"

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Wanda Ferro
  12 agosto 2025 18:41

di MARILINA INTRIERI

Un episodio di violenza verbale sui social network oggi ha colpito  il cuore della politica italiana. Nel mirino la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il sottosegretario all’Interno Wanda Ferro.

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Tutto è nato da un post di sostegno che Wanda Ferro ha pubblicato in favore della premier. Poche ore dopo, la sottosegretaria  ha iniziato a ricevere segnalazioni da parte di utenti che le riportavano commenti offensivi e auguri di contrarre una malattia.

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Il meccanismo è stato rapido e spietato: pubblicazione del post, segnalazioni di commenti, arrivo di insulti personali.

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Parole che, al di là della loro natura lesiva, rivelano un’abitudine di trasformare i social in una piazza senza regole, dove l’argomentazione lascia il posto al livore e la critica politica scivola nel fango dell’attacco personale.

Da qui la decisione della donna di Governo di sporgere denuncia, un gesto simbolico come segnale a un Paese che rischia di assuefarsi alla brutalità delle parole. Perché l’insulto online, specie quando prende di mira la malattia, scardina il concetto stesso di confronto civile.

Il tema qui va oltre la politica. Perché, come ha sottolineato la sottosegretaria, un linguaggio di questo tipo non ferisce solo il destinatario, ma colpisce in modo indiretto chi soffre per davvero.

L’odio online non è solo un problema di sicurezza informatica o di diffamazione penale. È uno specchio del nostro tempo. E ciò che oggi riflette non è affatto un bel volto.

Il caso  si inserisce nel contesto più ampio di  degenerazione del dibattito pubblico online.

Il fenomeno è ormai quotidiano: le piattaforme digitali, nate per avvicinare le persone, si trasformano in arene dove la logica è quella dell’attacco più feroce e della ferita più personale. Non si discute più di idee, ma si colpisce il corpo, la salute, la condizione umana.

I social media, usati senza filtri da partiti e movimenti, hanno abbattuto i tradizionali intermediari del dibattito pubblico, favorendo messaggi diretti, emotivi e polarizzanti.

Questo meccanismo, seppur efficace nel mobilitare consenso, tende a esasperare le divisioni e a indebolire la possibilità di un confronto democratico maturo.

Molte notizie diffuse in queste piattaforme sono in realtà forme di disinformazione, studiate per istigare rabbia e alimentare il disagio sociale, trasformando problemi complessi in slogan semplificati.

La facilità con cui si può insultare dietro lo schermo, senza conseguenze apparenti, ha creato una sorta di “zona franca” dell’aggressione verbale, in cui il dissenso legittimo viene sostituito da espressioni d’odio che spesso colpiscono anche fasce vulnerabili, come le persone affette da malattie gravi.

Il linguaggio d’odio, soprattutto quando arriva a invocare malattie o morte, non appartiene a un Paese civile. Allo stesso tempo, il crescente malessere sociale non nasce dal nulla: è alimentato anche da decisioni politiche percepite come ingiuste e’, oggi, amplificato da un nuovo fattore decisivo, il populismo digitale. La presenza anche in parlamento di forze populiste  ha progressivamente spostato il linguaggio politico verso la semplificazione  estrema e lo scontro permanente .

Una dinamica che se pur mobilita consensi ha eroso  il rispetto reciproco e normalizzato l’insulto come strumento di lotta politica.

Il punto, dunque, non è negare il diritto alla critica, ma riportarlo in uno spazio di verità e rispetto reciproco. Solo così il dissenso può restare una risorsa per la democrazia, anziché degenerare in odio distruttivo.

 

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