di EDOARDO CORASANITI
Due lattine di olio e qualche castagna non cristallizzano il reato di corruzione in atti giudiziari. Per spedire un uomo al confine, tirarlo fuori dai propri affetti e non consentirgli di tornare nella sua provincia, ci vogliono prove più solide e il rispetto di alcuni principi di diritto penale che possano integrare quanto richiesto dal legislatore per fotografare la corruzione: corrispettività e proporzionalità. In soldoni, bisogna dimostrare un accordo e non la semplice donazione di alcuni beni, soprattutto se di basso valore.
Lo scrivono i giudici della Corte di Cassazione, chiamati a pronunciarsi sul caso di Vincenzo Ierardi, 34 anni, ex assessore del Comune di Petilia Policastro, accusato di aver corrotto un dirigente dell’Asp insieme ad altri tra cui Amedeo Nicolazzi, sindaco del Comune di Petilia Policastro, Francesca Costanzo, vicesindaco dello stesso Comune, e Sebastiano Rocca (anche a quest'ultimo è stata annullata la stessa misura cautelare, con un'altra sentenza ma con le identiche motivazioni).
Dopo la conferma del Tdl di Catanzaro della misura del divieto di dimora in provincia di Crotone già applicata dal Gip, gli Ermellini hanno annullato senza rinvio e rimesso in completa libertà Ierardi. Oggetto del presunto illecito sarebbe stato l’impegno del pubblico ufficiale per far diminuire l'importo di alcune multe elevate il 18 novembre 2018 a carico di un datore di lavoro e del direttore dei lavori di un cantiere edile. La sanzione, pari a 3mila euro, era stata messa nero su bianco per alcune presunte violazioni della normativa antinfortunistica. In cambio, il 21 novembre, si sarebbe verificato il prezzo della presunta corruzione: “Due latte di olio e di un quantitativo imprecisato di castagne”.
Un capo di imputazione contenuto nell’inchiesta della Procura di Crotone che il 16 aprile scorso ha portato a 8 misure cautelari tra Petilia, Catanzaro e Livorno, per un totale di 17 indagati. I reati contestati, a vario titolo, sono peculato, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, corruzione in atti giudiziari, concussione e violenza sessuale. Quest’ultima accusa riguarda il sindaco, Amedeo Nicolazzi. Finiti nel complesso dell'indagine anche assessori, dirigenti Asp e l’ex vicesindaco. Ai politici è costata anche la sospensione della Prefettura (LEGGI QUI).
Dalle intercettazioni però è emerso che la consegna delle lattine di olio e della busta di castagne è avvenuta in concomitanza temporale con la sollecitazione del favore richiesto al pubblico ufficiale, anche se c’è un elemento fondamentale che la Cassazione mette in evidenza nella decisione depositata a novembre scorso e in cui la Procura generale aveva chiesto l'annullamento con rinvio: “Emerge chiaramente che la consegna di tali beni non è mai stata oggetto di una preliminare promessa da parte dei privati rivolta al pubblico ufficiale per indurlo a concedere il favore richiesto, ma si è concretizzata dopo che il predetto pubblico ufficiale si era già impegnato a fare quanto in suo potere per agevolare la pratica amministrativa di competenza del suo ufficio e quindi senza la dimostrazione che tale successiva dazione non solo abbia concretamente influito sul processo deliberativo del pubblico ufficiale, ma che neppure sia stata intesa dal pubblico ufficiale come la indebita ricompensa postuma per il suo intervento per la più favorevole definizione del procedimento amministrativo oggetto del suo interessamento”.
La quasi totalità della motivazione della decisione è dedicata all'inadeguatezza di carattere processuale che i giudici di Cassazione mette in luce nel procedimento presente: l'utilizzabilità del materiale intercettivo captato tramite il trojan impiantato in un cellulare di un indagato e che ha rappresentato un'arma potentissima nell'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare. Al di là di un dubbio interpretativo sulla vecchia e nuova norma per l'utilizzo delle intercettazioni, scrivono i giudici, esse potevano essere utilizzate solo a condizione che fosse risultata accertata l'esistenza di una connessione qualificata tra i reati per cui si procede con quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata concessa. Un controllo che è mancato e che, di per sé, costerebbe già l'annullamento con rinvio al Tribunale di Catanzaro per una nuova valutazione.
Ma ecco che i magistrati romani (presieduti da Pierluigi Di Stefano) sottolineano con il rosso come manchi la corrispondenza, l’incidenza del dono (olio e castagne) sull’azione amministrativa. I tecnici chiamano questo aspetto come carenza di gravità indiziaria, a cui si somma anche un vulnus di esigenze cautelari, che risulta emergere “dal vuoto motivazionale dell'ordinanza impugnata, che ha delineato la condotta in esame come indice di spregiudicatezza e professionalità a delinquere unicamente sulla base di un giudizio di disvalore del fatto che ne ha esasperato la gravità senza fornire una spiegazione ragionevole di tale giudizio adeguata alla peculiarità della vicenda in esame ed al ruolo marginale svolto dall'odierno ricorrente”. Il prodotto non può che essere l'annullamento completo dell'ordinanza di conferma (e anche di quella genetica) senza rinvio. Ierardi riacquista la completa libertà dopo sette mesi lontano da casa. Un tempo che però nessuno gli restituirà e che, con una interpretazione meno punitiva, secondo la Cassazione, poteva non essergli sottratto.
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