Omaggio del Politeama a Foglietti, Dragone: "Ciao Mario, amico forte e fragile"

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Mario Foglietti
  26 febbraio 2025 09:21

di SERGIO DRAGONE

 “Dove vai?”. “Non lo so”. “Allora andiamo dalla stessa parte”. Mario Foglietti – che sarà celebrato venerdì nel “suo” teatro per lodevole iniziativa della sua “erede” Tonia Santacroce – amava alla follia le frasi tratte dai film celebri e in particolare questa, dal “Porto delle nebbie” di Marcel Carnè.

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Forse perché rispecchiava la sua anima giramondo, le sue incertezze e le sue paure, la sua ricerca dell’avventura, la sua incredibile ironia. Era forte, ma era anche fragile Mario, come tutte le persone molto sensibili e fondamentalmente timide.

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Le citazioni colte erano la sua difesa. “Mario stai invecchiando a vista d’occhio!”, gli dissi un giorno per provocare la sua reazione di inguaribile narciso. “E’ l’unico modo per non morire giovani”, mi rispose imperterrito.

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Abbiamo condiviso per quasi quattordici anni la grande avventura del Politeama. Lui da Sovrintendente  - e quindi da “padrone” assoluto del teatro – io da responsabile della comunicazione. Non sono stati sempre rose e fiori, qualche scintilla è stata inevitabile. Ma Mario, che era meno permaloso di me, risolveva tutto con una telefonata serale, ancora con una citazione, questa volta da Arthur Bloch: “Coraggio Sergio, domani andrà peggio!”.

Potrei raccontare decine e decine di aneddoti, le sue proverbiali battute a Nicola Santopolo, Barbara Morelli, Paola Saliceti, Rossella Longo, Mary Surace, Giò Battaglia, Viviano Veraldi, Pino Liberato, i suoi scherzi da ragazzino terribile, i falsi ordini di servizio, ma anche le sue sfuriate e le parolacce in dialetto catanzarese.

Come non volere bene a Mario? Istrionico, camaleontico, geniale, irriverente. Non gli bastava un solo “mestiere”: era giornalista televisivo, ma anche scrittore; era regista, ma anche sceneggiatore; era art director, ma anche critico teatrale.

Non si è fatto mancare niente nella vita. Appassionato di cinema, ha avuto la fortuna di intervistare alcuni dei più grandi registi di tutti i tempi (Luis Bunuel e Renè Clair, tra gli altri) e di collaborare direttamente con alcuni di loro (Sergio Leone e Dario Argento). Ha fatto teatro (esordendo con la compagnia di Mario Scaccia e Giusi Raspani Dandolo), ha diretto alcuni sceneggiati televisivi che hanno fatto epoca, è stato inviato di punta del Tg1 e di trasmissioni che appartengono alla storia della RAI come “Tam Tam” e “Tv Sette”. Le telecamere guidate da Mario hanno fatto il giro del mondo, dal canale di Suez al campo di concentramento di Bergen Belsen, da Beirut al Cairo. Ha lavorato a stretto gomito con Enzo Biagi, Enrico Mentana, Marcello Sorgi, Vincenzo Mollica.

E’ stato bravissimo Vittore Ferrara, mio compagno di viaggio in tanti lavori assieme a Pino Iannì, a ricostruire in un bel docu-film la vita e le tante cose fatte da Mario nella sua poliedrica carriera. Non era facile. Sarà una bella sorpresa per coloro che lo vedranno nella serata dedicata al Politeama.

E che dire della sua “carriera” di tombeur de femmes? “Che ci posso fare se le donne mi corteggiano, io faccio di tutto per evitarle”, cercava di giustificarsi con quel suo sorriso impertinente. Attrici, soubrette, presentatrici, telegiornaliste sono cadute davanti al suo fascino alla Humphrey Bogard, con tanto di impermeabile beige col bavero rialzato. Finché si è arreso a Federica, la sua paziente e tenace moglie che ne ha sopportato tutti i difetti (“peccato che sia una canaglia”, ha titolato uno scritto dedicato a quel marito così straordinario e così inafferrabile). Per una, Adele Fulciniti, la signora dei fiori, è rimasto per sempre un amore impossibile.

Catanzaro deve molto a Mario. Senza la sua competenza, il suo entusiasmo, i suoi contatti costruiti in decenni nel mondo dello spettacolo e della cultura, il Politeama non sarebbe mai diventato grande.

Ha girato il mondo ma ha voluto chiudere la sua vicenda umana e professionale nella sua città natale che ha veramente amato alla follia. La sua bella e civettuola casa, nel rione San Leonardo, dovrebbe diventare un museo, così ricca di reperti e documenti che raccontano la RAI, il cinema, il Politeama.

E’ andato via senza rimpianti. Anzi, uno lo aveva. Non avere potuto realizzare il film sulla fuga di Roberto Rossellini e Ingrid Bergman, capitati a Catanzaro nella primavera del 1949 lungo la strada che li portava a Stromboli. Era pronto anche il titolo, “Quella giornata di primavera”, mi aveva fatto leggere una sceneggiatura di massima, ma senza un produttore il progetto è rimasto nel cassetto. Poco importa. Un piccolo rimpianto che nulla toglie alla grandezza di questo mio amico forte e fragile. Indimenticabile.

 

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