di STEFANIA PAPALEO
Trent'anni di reclusione per i fratelli Vincenzino e Giuseppe Fruci e 7 anni e 4 mesi di reclusione per il collaboratore di giustizia Francesco Michienzi. Non fa sconti il sostituto procuratore generale Salvatore Di Maio al nuovo processo in Corte d’Assise d'Appello a carico dei presunti killer dell'avvocato Torquato Ciriaco, freddato il 1° marzo 2002 in un agguato nei pressi dello svincolo dei Due Mari.
Conclusa la requisitoria rimasta a metà a causa dell'allontanamento improvviso di un giudice popolare dall'aula durante una pausa all'udienza scorsa (LEGGI QUI), oggi il magistrato ha tirato le somme, partendo da una richiesta di condanna all'ergastolo rideterminata a 30 anni per i Fruci, tenendo conto del rito abbreviato scelto fin dall'inizio dagli imputati, per poi procedere con la richiesta per Michienzi, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e dell'attenuante speciale legata alla collaborazione con la giustizia. La parola adesso passerà ai rispettivi difensori, gli avvocati Anselmo Torchia e Giuseppe Spinelli, Sergio Rotundo e Luca Cianferoni, e Maria Claudia Conidi per le arringhe finali previste per il 20 gennaio e di cui terrà conto la Corte, presieduta da Antonio Battaglia, nel momento di emettere la sentenza definitiva in questa drammatica annosa vicenda giudiziaria.
Era il primo marzo del 2022 quando, giunto al bivio di Maida alla guida del suo fuoristrada, fu raggiunto da tre colpi di arma da fuoco partiti da una Fiat Punto che venne poi trovata carbonizzata. Da lì anni di indagini intrise di dubbi e interrogativi fino a quando nel 2014, grazie alle dichiarazioni del pentito Michienzi, fu ricostruito l’agguato messo a segno con i fratelli Fruci, per impedire che Ciriaco acquisisse un’impresa edile destinata ad altri.
Concorso in omicidio volontario, aggravato dall’art. 7 legge 203/91, l'accusa con la quale furono arrestati gli imputati per l'agguato eccellente che scosse il foro e che, tuttavia, in primo grado fu annientata per mano del gup distrettuale che, a settembre del 2017, ha assolto tutti gli imputati, con un sentenza emessa con il rito abbreviato e tempestivamente impugnata dal sostituto procuratore generale Luigi Maffia che, al primo processo in Corte d'assise d'appello, chiese l'ergastolo. E fu in quella sede che i giudici di secondo grado ribaltarono la sentenza impugnata, procedendo con le condanne poi annullate dalla Corte di Cassazione con rinvio al nuovo processo ormai in dirittura d'arrivo (LEGGI QUI).
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