"L’Italia è stata una tra le nazioni maggiormente colpite dalla pandemia Covid 19, arrivando a contare oltre 2 milioni di contagi accertati e circa 72.000 decessi; il nostro Paese si è ritrovato ad affrontare in modo drammatico una situazione nuova e inaspettata, che si è rapidamente tramutata in una crisi sanitaria senza precedenti. Solo applicando modelli organizzativi nuovi e trasformando rapidamente le strutture ospedaliere, è stato possibile offrire la necessaria assistenza alla moltitudine di malati. Gli operatori sanitari sono certamente tra le categorie più colpite, come è facile intuire, con un totale di circa 90.000 affetti, essendo associato all’elevata esposizione al rischio, dovuta alla peculiarità dell’attività lavorativa, un insieme di ulteriori fattori concausali. Elemento causale non trascurabile, che necessita di valutazione oggettiva del singolo caso, è rappresentato dalla variabilità del comportamento individuale, con mancata aderenza alle procedure di prevenzione e protezione". Lo scrivono, Gerardo Mancuso, Direttore U.O.C. Medicina Interna POLT Referente Gestione esecutiva COVID, e Federico Bonacci, Responsabile U.O.S.D. Rischio Clinico – Covid Manager, in risposta alla denuncia dell'associazione Senza Nodi (LEGGI QUI)
"In tale contesto - proseguono- risulta una nota stonata l’articolo pubblicato in data 26 dicembre, a firma del Presidente dell’Associazione “Senza nodi”, che, raccogliendo e facendo propria la testimonianza del marito di una delle infermiere in servizio presso il reparto COVID dell’Ospedale di Lamezia, risultate recentemente positive al virus, parla aprioristicamente di “crepe”, “turni massacranti” e “totale insicurezza” nel contesto lavorativo del citato nosocomio. Se può risultare comprensibile lo sfogo dei familiari degli operatori sanitari contagiati, in attività di servizio, peraltro tutti asintomatici o paucisintomatici, non è giustificabile basare le proprie affermazioni, su dichiarazioni anonime di soggetti terzi, che non hanno né competenza né conoscenza diretta dei fatti trattati".
"Siamo sicuri che l’indagine epidemiologica in corso farà chiarezza sulle cause del contagio delle operatrici sanitarie del Reparto Covid, nel frattempo si rende necessario confutare alcune affermazioni assolutamente non veritiere contenute nel suddetto articolo:
"Si evidenzia ancora che l’apertura del Reparto Covid a Lamezia è avvenuta su esplicita richiesta del Dipartimento della Salute regionale, per ovviare al sovraffollamento degli Ospedali HUB in sofferenza per la seconda ondata, tanto da far dichiarare la Calabria zona rossa, non per il numero dei contagi, ma per l’insufficiente numero di posti letto Covid della rete ospedaliera. Tuttavia è necessario sottolineare un aspetto sicuramente importante, il reparto Covid del Giovanni Paolo II ha curato a oggi, con innegabile successo, 54 utenti, quasi tutti dell’area lametina, che altrimenti, in assenza di posti letto negli HUB, sarebbero stati trasferiti quasi certamente fuori regione, con le inevitabili conseguenze cliniche dovute al ritardo nell’inizio della terapia, senza considerare il disagio per le famiglie e lo stress per il paziente stesso. Sarebbe forse giusto cominciare a rendere merito a tutti i medici, infermieri, operatori socio-sanitari che hanno contribuito - concludono- realizzare questo lusinghiero risultato, piuttosto che continuare a gettare fango sul nosocomio lametino. Cui prodest?"
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