Operazione anti 'ndrangheta a Fabriano nell'Anconetano, fermato un imprenditore di origine calabrese

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Foto di archivio di un'automobile dei Carabinieri
  25 febbraio 2020 17:29

Sono fabrianesi i tre fermati, su disposizione della Procura Distrettuale Antimafia di Ancona con il coordinamento del procuratore capo Monica Garulli e il pm Daniele Paci, nell'ambito di un'operazione dei carabinieri del Ros e dei comandi provinciali di Ancona, Perugia e Reggio Calabria.

Si tratta di due geometri di 58 e 67 anni, e un broker finanziario di 44 anni accusati di avere fatto affari con un esponente di spicco della 'Ndrangheta, legato alla cosca Alvaro: l'imprenditore di origini calabresi Domenico Laurendi, di 69 anni, residente a Fabriano dal 2005. Ci sono poi altre quattro persone indagate. Laurendi ha una attività che si occupa di fibra ottica: ora è in carcere a Reggio Calabria. Il fermo è stato eseguito questa mattina in Calabria, i due geometri sono in carcere a Montacuto di Ancona mentre il broker è in carcere a Bologna, dato che si trovava in Emilia Romagna al momento del provvedimento. Tutti e quattro sono accusati di riciclaggio e autoriciclaggio commessi con l'aggravante mafiosa. I dettagli dell'operazione sono stati resi noti in una conferenza stampa dal procuratore capo di Ancona Monica Garulli, dal vice comandante nazionale del Ros Giancarlo Scafuri e dal comandante del Ros di Ancona Francesco D'Ecclesis. "L'indagine è partita nel 2018 - ha detto Garulli -, quando sono emersi rapporti economici tra l'imprenditore calabrese e i tre marchigiani". A far scattare l'allarme delle segnalazioni della Banca d'Italia.

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"Questa operazione non significa che le Marche sono terra fertile per la criminalità organizzata - ha precisato Scafuri -. Anzi, sono una regione solida con importanti anticorpi". Il modus operandi era questo: attraverso i tre fabrianesi venivano 'ripuliti' i soldi della 'Ndrangheta con operazioni commerciali nella provincia di Ancona (un capannone acquistato in zona Baraccola e un terreno a Genga) portate a termine attraverso società fittizie che avrebbero emesso fatture false per lavori fantasma, i cui importi venivano intascati direttamente da Laurendi.

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