Oltre 250 operatori della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, su delega della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia, stanno dando esecuzione a 51 misure cautelari personali, di cui 22 detentive, nonché a 106 misure cautelari reali, per circa complessivi 24 milioni di euro, emesse dal G.I.P. del Tribunale reggiano.
L’attività d’indagine denominata “Billions”, condotta dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza e dalla Squadra Mobile della Questura di Reggio Emilia, supportata dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, ha permesso di scoprire un’associazione a delinquere, composta da 49 soggetti specializzata nell’offrire, in via “professionale”, “servizi” di emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, per consentire alle imprese beneficiarie l’abbattimento dei propri redditi imponibili, con realizzazione di svariati delitti in materia tributaria: emissione ed utilizzo in dichiarazione di fatture false, occultamento della documentazione contabile e omessa dichiarazione dei redditi.
Gli investigatori, attraverso le intercettazioni telefoniche ed ambientali, i servizi di osservazione e pedinamenti, l’analisi dei flussi finanziari e l’approfondimento di segnalazioni per operazioni sospette, sono riusciti ad individuare una struttura associativa particolarmente complessa dedita altresì al riciclaggio di denaro, anche all’estero, all’autoriciclaggio e alla commissione di reati di bancarotta fraudolenta.
La presunta associazione a delinquere smantellata era composta, infatti, in modo estremamente strutturato: al vertice vi erano i Capi che coordinavano dieci cellule operative che potevano contare di società di comodo (delle vere e proprie cartiere) per la emissione di fatture per operazioni inesistenti, di “prelevatori” professionali di denaro da sportelli
bancomat e procacciatori di soggetti economici interessati ad ottenere servizi finanziari illegali.
Al gradino più basso dell’organizzazione vi era una folta schiera di soggetti “prestanome” titolari di una miriade di società “cartiere” che non avevano alcuna struttura aziendale e che servivano solo per “produrre” fatture false. Eloquente a tal proposito una conversazione, captata dagli inquirenti, tra due indagati che scherzando si chiedevano ironicamente che cosa producessero le loro società, rispondendosi che “producono soldi”. L’analisi dei flussi finanziari delle società “cartiere” ha permesso di ricostruire movimentazioni quantificate in oltre 240 milioni di euro, delle quali ben 50.000.000 di euro
sono consistite in prelievi di denaro contante. L’ammontare del giro di fatture false emesse è stato calcolato in 80 milioni di euro con un’imposta evasa quantificata in circa 24 milioni di euro.
Nel corso delle indagini sono state eseguite, in diverse occasioni, perquisizioni locali e personali che hanno portato al sequestro di circa 500.000 euro, di cui 267.000 euro in contanti, provento dei reati e di cui rappresentavano la monetizzazione.
Lo schema esecutivo dell’illecito prevedeva, dapprima, il pagamento integrale della fattura falsa da parte dell’impresa beneficiaria. Successivamente tali disponibilità venivano prelevate in contanti dai richiamati “prelevatori”, soggetti al soldo dell’associazione con il compito di recarsi presso vari uffici postali ed effettuare prelievi frazionati, in modo da non
superare le soglie previste dalla normativa antiriciclaggio. Infine tali somme venivano restituite ai Capi dell’associazione che le retrocedevano alle imprese beneficiarie, al netto di una commissione per il “servizio” prestato.
A seguito di un sequestro effettuato nei confronti di un “prelevatore”, destinatario di misura detentiva, lo stesso aveva confidato alla moglie che essendo stato “bruciato” non avrebbe più potuto “lavorare” e sarebbe stato costretto a trovarsi un “lavoro vero”.
Tra le condotte contestate agli indagati vi è anche il reato di autoriciclaggio. I sodali infatti provvedevano, attraverso società create ad hoc, ad inviare bonifici all’estero in favore di imprese comunitarie sempre controllate dagli stessi, per un importo complessivo di 1,2 milioni di euro, giustificando le movimentazioni finanziarie quale pagamento di acquisti
intracomunitari, rivelatisi fittizi. I fondi così trasferiti venivano poi re-investiti in attività commerciali localizzate sempre all’estero e riferibili all’organizzazione criminale.
Sul versante comunitario, il sodalizio criminale aveva organizzato, altresì, una frode cd. “carosello”, relativamente alla compravendita di autovetture dalla Germania. L’attività d’indagine ha permesso di accertare l’esistenza di una società “cartiera” con sede a Reggio Emilia, che ha acquistato veicoli usati per un importo complessivo pari a circa 2, 8 milioni di euro, e di società “filtro” che si interponevano tra l’impresa reggiana e i concessionari di automobili venditori finali del bene. Tale meccanismo ha permesso alle società di evadere l’IVA e, dunque, di commercializzare le autovetture sul mercato nazionale a prezzi più “vantaggiosi”, in danno dell’Erario e della libera concorrenza. Le indagini hanno anche chiarito come il sodalizio avesse messo a punto un complesso sistema di truffa e successivo autoriciclaggio del provento realizzati ai danni di Istituti bancari. Nel dettaglio, veniva in primo luogo attivavo un conto corrente intestato a società cartiera del sodalizio in modo da instaurare un rapporto con le banche; successivamente veniva rappresentata la fittizia solidità della società, dissimulandone la natura di cartiera, attraverso la creazione di una struttura minima e la formazione di documenti falsi; in questo modo ottenevano mutui o altre forme di finanziamento da parte delle banche; successivamente trasferivano il denaro ricevuto sui conti delle altre società del sodalizio in modo da essere reimpiegato nel meccanismo di emissione di fatture false.
Durante le investigazioni è stato accertato, inoltre, che gli indagati si sono resi responsabili anche di reati fallimentari. Gli stessi hanno infatti portato al fallimento quattro società utilizzate come cartiere, distraendo, in larga parte attraverso prelevamenti in contanti, complessivamente più di 7 milioni di euro. Tenuto conto dell’ingente debito fiscale in capo alle società fallite, va da sé che ancora una volta è stato l’Erario a subire il danno maggiore
delle condotte fraudolente.
Nel corso dell’attività d’indagine è stato possibile monitorare anche un conflitto, tra gli associati ed un gruppo criminale riconducibile alla famiglia GIARDINO di Verona, città in cui alcuni membri dell’associazione avevano subito il furto di 50.000 euro in contanti che sarebbero dovuti servire per finanziare un’operazione illegale. In tale occasione, veniva
interessato uno dei vertici dell’associazione, destinatario di misura detentiva in carcere e già condannato nel processo AEMILIA per dirimere la questione.
Tra i destinatari di misura detentiva risulta presente un ulteriore soggetto di spicco della criminalità calabrese, che è stato uno dei protagonisti della guerra di ‘ndrangheta combattuta a Reggio Emilia negli anni ’90.
Da ultimo, avendo accertato che 9 degli indagati sono risultati beneficiari di reddito/pensione di cittadinanza, con avvenuta erogazione complessivamente di oltre 80.000 euro, sono in corso ulteriori attività ispettive per l’immediata revoca del beneficio e il recupero delle somme indebitamente percepite.
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