Era frutto di un prestito il denaro trovato, nel corso di una perquisizione, nell'abitazione del giudice della Corte d'appello di Catanzaro, Marco Petrini, arrestato mercoledì scorso con l'accusa di corruzione in atti giudiziari. A spiegarlo è stato lo stesso magistrato nel corso dell'interrogatorio di garanzia cui è stato sottoposto dal Gip di Salerno, assistito dagli avvocati Agostino De Caro e Ramona Gualtieri, rispettivamente del Foro di Salerno e del Foro di Lamezia Terme.
Petrini ha anche respinto l'accusa di essere stato legato ad un penalista di Catanzaro in una vicenda giudiziaria in cui l'avrebbe favorito. In realtà, ha riferito il giudice, con il penalista non c'è stato alcun intreccio illecito, tanto che in quella vicenda sono stati comminati tre ergastoli dopo che in primo grado due imputati erano stati condannati a trent'anni ed uno era stato assolto. Il giudice ha anche sostenuto che nessun provvedimento da lui adottato può essergli addebitato come illecito.
Petrini ha anche replicato alla contestazione secondo cui non avrebbe ammesso l'esame di un pentito, Emanuele Mancuso, in forza di un "rapporto intimo" con una penalista. In quel processo, in realtà, ha sostenuto Petrini, furono ammessi altri cinque pentiti, mentre il collaboratore non ammesso era stato citato per fatti che nulla avevano a che vedere con quello in corso di giudizio. Lo stesso giudice ha aggiunto che in ogni caso quel processo si era concluso con una sentenza di condanna.
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