Di EDOARDO CORASANITI
“Del tutto fumosa e quanto mai generica” scrive il Gip poco più di un anno fa; “Evanescente e non definita”, gli fa eco il Tribunale della Libertà ad ottobre scorso. Parole simili, che camminano sullo stesso binario e che portano ad un risultato identico: con l’accusa formulata non ci sono gravi indizi di colpevolezza e né ragioni cautelari per spedire in carcere Giuseppe Pitaro, avvocato, 56 anni, ex sindaco di Torre Ruggiero dal 2006 al 2015, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito di “Orthrus”, un blitz che porta alla luce una presunta organizzazione criminale “Iozzo-Chiefari” di Chiaravalle Centrale e lo stesso comune guidato da Pitaro in passato.
A volerlo mandare in carcere da oltre un anno è la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, come anche confermato ieri dal pubblico ministero Debora Rizza che per l'ex sindaco di Torre Ruggiero ha chiesto 6 anni di reclusione al termine della requisitoria del filone dell’abbreviato in cui ci sono 23 imputati (LEGGI QUI). Nei prossimi mesi, la palla passerà agli avvocati della difesa ed anche a Vincenzo Ioppoli e Vittorio Ranieri, avvocati di fiducia di Pitaro.
Durante la conferenza stampa di ottobre 2019, Gratteri annuncia l’appello contro la decisione del Gip di non applicare nessuna misura cautelare al legale accusato di aver tenuto chiusa in una cassaforte del palazzo comunale un’interdittiva antimafia, e la presenza al suo fianco, durante un comizio elettorale, di un presunto esponente di vertice della cosca Chiefari: “Conosciamo la gestualità della mafia, sappiamo che la mafia non fa nulla a caso e quando sta in un posto non lo fa a caso ma fa una scelta di campo, ne consegue che il capo mafia sta partecipando alla campagna elettorale per un candidato sindaco che poi diventa sindaco. Questo non ha rilevanza penale? Non è importante? E’ solo folklore o è un comportamento di mafia?”, diceva il capo della Procura del capoluogo di regione. Detto, fatto: il ricorso contro la decisione del Gip viene presentato e dopo il rinvio a causa del Covid arriva tra le mani dei giudici del Tribunale della Libertà Ermanna Grossi, Michele Cappai, Giuseppe De Salvatore: rigettato in sei pagine di motivazioni.
Immediata fu la risposta di Pitaro: “Ho svolto le funzioni di sindaco del Comune di Torre di Ruggiero dal 2006 al 2015 fronteggiando le varie problematiche di un piccolo borgo dell’entroterra calabrese nel pieno rispetto del principio di legalità. Apprendo ora, con profondo dispiacere, che nell’inchiesta denominata “Orthrus” compare il mio nome, ma, al contempo, mi compiaccio che il Gip, dopo avere esaminato la mia posizione, abbia accertato e riconosciuto la mia totale estraneità ai fatti oggetto dell’indagine”
Tre gli elementi su cui i magistrati sono chiamati a valutare e che determinano il provvedimento di diniego: la struttura associativa che “non può considerarsi sufficientemente delineata”; l’impossibilità per il sodalizio di introdursi negli appalti comunali grazie alle condotte addebitate a Pitaro; nessun patto politico- mafioso.
STRUTTURA ASSOCIATIVA NON SUFFICIENTEMENTE DELINEATA- Sul primo, l'esito delle valutazioni espresse nella fase cautelare relativa al procedimento “Orthrus” (tra Gip, Td e Cassazione) hanno infatti restituito una configurazione dell'originaria cosca ipotizzata dal Pm che vede sostanzialmente intatto, nei termini ipotizzati dalla Procura, il ramo della cosca facente capo agli Iozzo. Con Pitaro però non risultano “rapporti meritevoli di considerazione investigative”. Per i Chiefari, operanti sul territorio di Torre di Ruggiero, la contestazione del delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, ha resistito unicamente con riferimento alla figura di Antonio Chiefari; per l’altro considerato intraneo alla cosca, Vito Chiefari, c’è stata l’annullamento dell’ordinanza dalla Cassazione.
La "mutazione" dell'originaria ipotesi investigativa allora non può allora che avere conseguenze sulla configurazione di una condotta di concorso esterno a carico di Pitaro, il quale avrebbe avuto rapporti solo indiretti con l'unico soggetto riconosciuto come intraneo alla cosca, Antonio Chiefari (con il quale, a conti fatti, l'unico rapporto diretto considerato di interesse investigativo è quello del pranzo del 2014 alla presenza di "componenti dell'Area Tecnica" del Comune).
I giudici svolgono una distinzione importante e dettagliata: “A prescindere dal rilievo concernente l'assenza di rapporti diretti con soggetti intranei alla cosca, può trascurarsi il fatto che le condotte descritte, considerate nell'imputazione di reato come suscettibili di determinare il rafforzamento e la conservazione della cosca Iozzo-Chiefari, si prestano, in realtà, ad essere considerate più come rispondenti all'interesse individuale dei soggetti che di esse sono risultati destinatari”.
Discorso che vale, in particolare, con riferimento a Domenico Chiefari, che ha assunto il ruolo di operatore sociale, operaio manutentore ed agente di polizia municipale, ruoli comunque marginali che non sembrano potergli aver conferito possibilità di veicolare all'interno del Comune le esigenze della consorteria criminale della quale è stato comunque giudicato come non appartenente).
IMPOSSIBILITÀ PER IL SODALIZIO DI INTRODURSI NEGLI APPALTI COMUNALI GRAZIE A PITARO- “Evanescente appare poi, secondo quanto già rilevato dal GIP, il riferimento alla possibilità per il sodalizio di introdursi negli appalti comunali e di vedere accresciuto il senso di sicurezza e la propria capacità di condizionamento politico in conseguenza delle condotte addebitate a Pitaro”. Sul punto esordisce così il collegio, a cui non viene spiegato in modo convincente in quale modo effettivamente l’ex sindaco “abbia potuto assicurare simili risultati alla cosca. Per come si rileva nella memoria della difesa, non sono infatti presenti agli atti elementi”.
L'unico elemento che i giudici valutano è la conversazione nella quale Pietro Antonio Chiefari, dopo le dimissioni del sindaco Pitaro nel 2015, si sarebbe lamentato del fatto che gli fosse stata richiesta l'attestazione SOA in relazione a dei lavori commissionati dal Comune di Torre di Ruggiero. Conversazione dalla cui lettura non emergono però elementi concreti per attestare che, nel periodo nel quale era sindaco Pitaro, il Comune prescindesse dalla verifica dei requisiti in capo alle imprese affidatarie dei lavori appaltati e che consentano di ritenere che “il sindaco abbia sconfinato la propria sfera di competenze, politiche, per influire su un ambito rimesso alla sfera amministrativa, ovvero quello concernente la materia degli affidamenti degli appalti pubblici”. E ancora: “Non è stato infatti raccolto alcun indizio- continua il Tdl di Catanzaro- che consenta di ipotizzare la non regolarità delle gare d'appalto avvenute nel periodo che va dall'anno 2006 all'anno 2015. Peraltro, come già notato dal GIP, non sono stati acquisiti elementi relativi agli affidamenti nei riguardi di altre realtà imprenditoriali, che avrebbero quantomeno consentito di poterne comparare il valore economico e il numero rispetto a quelli affidati a lle imprese dei Chiefari, consentendo così di poter operare una valutazione più compiuta sul dato - che di per sé non appare sintomatico dell'esistenza di canali preferenziali - che le imprese dei Chiefari abbiano avuto appalti per un valore complessivo di 300.000 euro in 11 anni di mandato di Pitaro.
NESSUN PATTO POLITICO- MAFIOSO
Secondo i giudici “non è stato infatti accertato come si sarebbe attuato il supposto sostegno elettorale della cosca, tenuto conto che l'unica condotta riferibile al sodalizio - senza che vi sia dimostrazione di alcuna concreta attività rivolta al procacciamento dei voti per il sindaco - viene individuata in quella della "salita sul palco", durante un comizio elettorale di Pitaro, di Chiefari Domenico, soggetto che però, non è allo stato interessato da alcuna contestazione di partecipazione all'associazione di stampo mafioso”. Per i magistrati, difficilmente può “ritenersi che il fatto che quest'ultimo si sia fatto vedere pubblicamente in sua compagnia possa valutarsi come elemento indicativo del sostegno fornito dalla cosca in vista della competizione elettorale”.
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