Ottant'anni di musica, teatro, colore e poesia: grande festa al Politeama per Peppe Barra

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images Ottant'anni di musica, teatro, colore e poesia: grande festa al Politeama per Peppe Barra

  23 febbraio 2025 17:50

di ANNA TRAPASSO

Quanta storia, quanta musica, quanti aneddoti, palchi, numeri, gente, visioni...quanta vita da raccontare in 80 anni così intensi per Peppe Barra. Fare una sintesi di una vita così densa non deve essere semplice, ma ci è riuscito a teatro con la sua accattivante spontaneità ieri, al Politeama di Catanzaro, unica data in Calabria per "Un'età certa", live celebrativo di una grande carriera da musicista e attore teatrale. 

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C'erano le nacchere, c'era il rumore dei vicoli di Procida, del suo mare e dei suoi giardini, c'era il colore dei suoi kaftani sul palco, nota distintiva di una personalità dirompente come quella di Barra, che tra una fiaba, un ricordo e una poesia, si mostra spontaneo per com'è, senza filtri. Di tanto in tanto, lascia il pubblico in compagnia dei suoi storici musicisti, poi torna con un abito nuovo e torna a raccontare, a ridere, a cantare. 

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C'era l'indissolubile presenza di sua madre, Concetta Barra, che il figlio Peppe ricorda "aprire un'aria di un'opera buffa di Leonardo Vinci, cantando dai camerini del Teatro della Pergola nel maggio fiorentino del '77, naturalmente in abiti procidani". 

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C'era Gaber e il suo "Shampoo", nei ricordi da condividere, "Perchè Gaber, come De Andrè - ha detto - aveva il dono dell'affabulazione, della dizione, della parola 'pastosa', quando cantava si capivano bene le parole, cosa che oggi non è più". 

E ancora c'era la ballata del Uallarino, Trapanarella e altri canti della cultura popolare partenopea. Dalle stessa cultura popolare, anche le fiabe di Giambattista Basile, da cui Barra ha rivisitato e riscritto una poesia del '600, "Il tempo". 

C'era il ricordo di una volta al teatro dei folli, e di quella volta a Londra in cui fece storcere il naso all'alta borghesia inglese traducendo alcune rime da "L'Inferno della poesia napoletana".

Immancabili, "Papaveri e Papere" e, sul finale, la "Tamurriata Nera". Giova ricordarne ancora una volta le origini e Barra lo ha fatto, come una pagina di storia da tramandare. 

Da buon partenopeo, poi, non è mancata la cabala, e quei numeri da ripetere -assieme al pubblico - per propiziare le energie positive, quelle di cui ogni bravo artista si nutre. 

C'era la musica ma anche il pensiero, senza filtri anche una certa invettiva politica e sociale ("Molto spesso mi vergogno anche di essere italiano", dice dal palco  "A Napoli si dice adda passà a nuttata, ma questa nottata è lunga da passare, non passa mai! Per combattere questo brutto momento c'è solo un'arma - aggiunge - bisogna impugnare la spada della cultura").

C'era, infine, anche il cane, a prendersi gli applausi a scena aperta, il giusto tributo ad un gigante della tradizione italiana che ha scritto anche a Catanzaro una pagina del suo grande, vivace, colorato libro dei ricordi, tra musica, vita e follia. "Perchè in fondo - ricorda al suo pubblico - non c'è arte senza follia e non c'è follia senza arte".

 

(Fotogallery credits di Antonio Raffaele per Teatro "Politeama Mario Foglietti")

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