"Esistono dirupi sociali poco visitati, precipizi cerebrali che cerchiamo di scansare. In pochi vi si avventurano, quando non devono farlo per necessità professionale o velleità ordinatrice. Sono territori mentali e urbani che finiscono per crollarci addosso, deragliando all’improvviso dalla condizione invisibile in cui li releghiamo. Compie questa delicata e ardita escursione Emilio Grimaldi in “Padri e padrini”, romanzo di forma-azione limpida, apparso per i tipi di Officine Editoriali da Cleto.
Introdotto e suggellato dalle consapevoli penne di professionisti abituati a illuminare territori impervi della mente e delle umane relazioni, l’avvocato Giuseppe Filice e la psicoterapeuta Maria Francesca Spina, questa biografia di un amore inceppato sin dall’esordio racchiude molto più dell’intricata storia di un ragazzo alle prese con le conseguenze di un rapporto coniugale infelice. Incorniciando la vicenda con la sua scrittura fluida e sontuosa, l’autore illumina condizioni esistenziali tanto diffuse quanto sommerse. Da un racconto lineare nello sviluppo, ma per nulla scontato negli esiti, emerge l’essenza di problematiche sociali e culturali che permeano le nostre giornate, alle quali ci siamo assuefatti e rassegnati. A differenza di quanto accade nella dimensione onanistica dei cosiddetti “social” o nei format voyeuristici televisivi, Grimaldi riesce a drammatizzare il soggetto rappresentato, senza incorrere nello spettacolo. L’immedesimazione è fisiologica, eppure è mantenuta sotto la soglia che non impedisce la riflessione critica, il trarre le conclusioni sul piano razionale, non moralistico o compiacente. Chi lavora in una scuola statale o in consultorio sa bene quanta tragedia possa scaturire da fenomeni e comportamenti in fondo sempre esistiti, eppure oggi diffusissimi, provocati dai sistemi culturali dominanti, spacciati per “civili” ma invero viziati dal decoro perbenista: la procreazione incauta, la genitorialità difettata, il disagio psichico celato in nome del pudore borghese.
Nella società digitale, in teoria dunque predisposta alla diffusione di una mole immensa di informazioni, per paradosso l’ignoranza regna proterva su aspetti non secondari della vita quotidiana. La totale assenza di educazione alla sessualità negli anni dell’adolescenza è imposta dalle forme persistenti dell’oscurantismo, sia esso dettato da consuetudine o da riverberi di moderni fanatismi religiosi. Quando una coppia si separa, quasi mai i figli potranno essere di tutti e due. Apparterranno a uno, all’altra o a nessuno. Saranno oggettivati nello scontro, diverranno armi da brandire. E affidati alla scuola, ai nonni, agli zii, ai vicini di casa, saranno relegati in un altrove, con le conseguenze immaginabili per la loro crescita. La genitorialità diviene così un problema di proprietà privata e, in quanto tale, essendo ostentata, è oggetto di conflitti permanenti, vaganti tra studi legali, tribunali e caserme.
Qui traballa un altro dei principi fondamentali più misconosciuti, violati e bistrattati del nostro tempo: la presunzione d’innocenza. Quando sei figlio di una famiglia di ‘ndrangheta, pregiudicato o semplicemente sospettato di aver commesso un crimine, hai meno cittadinanza sostanziale di tutti gli altri. Emilio Grimaldi affresca questa condizione con brillante realismo, attingendo alla propria esperienza intellettiva ribelle, partecipe, espansiva. Domenico è uno degli innumerevoli ragazzi di Calabria. È già condannato dal proprio cognome, pur essendo riluttante a lasciarsi fagocitare dal vortice criminale che alimenta il sistema detentivo e securitario. Le carceri sono piene di potenziali e reali innocenti, colpevoli solo di essere cresciuti nei quartieri sbagliati. Il protagonista riesce a sfuggire ai padrini, vuole essere padre ed è padrone di se stesso, delle proprie umane reazioni. Non lo è invece la sua compagna, vittima anch’ella di una modalità ipocrita dei rapporti sociali, che nasconde il disturbo mentale, lo nega, lo comprime oppure lo medicalizza, trasformandolo in disperazione assoluta, solitudine, prigionia. Non c’è in questa condizione una mezza misura. La rivoluzione basagliana è uno dei pochi veri casi di avanzamento civile e sociale del nostro tempo. Peccato che manicomi sono divenute le stanzette chiuse delle nostre case, i marciapiedi dove agenti di polizia scaraventano a terra e ammazzano persone sofferenti, le camerate di cliniche psichiatriche e le celle di carceri in cui esistenze rarefatte si consumano di psicofarmaci e contenzioni. Il disagio psichico di Stefania c’è, ma non si deve vedere, altrimenti poi che dicono i parenti e i vicini di casa? Allora esplode dentro, quindi esonda e travolge il coprotagonista Domenico, deturpando anche la crescita del figlioletto Eugenio. L’intervento finale di un giudice non fa che ratificare il tortuoso e flagellante sentiero del sistema giudiziario, concepito per trovare un colpevole e tutti i costi, dunque incapace ormai di riconoscere l’innocenza in una ragionevole tempistica.
Grimaldi non è nuovo a disvelamenti simili. Tutte le sue precedenti opere sono improntate alla ricerca di paradossi lineari, verità talmente nitide e malcelate da emergere veementi. Tratteggia i suoi racconti con intervalli che inducono alla riflessione, accompagnati da improvvise e piacevoli cavalcate di senso. È un tratto molto personale, il suo, quello dell’inchiesta sul presente, articolata intorno a una razionalità che non ha mai perso legami con la ricognizione sull’invisibile".
[Articolo estratto da "Inviato da nessuno", il blog di Claudio Dionesalvi]
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