di ALDO TRUNCE'
Tutto il popolo.
No, non ho studiato greco, e quindi cerco sul vocabolario l’etimologia della parola.
Pandemia. Dal greco pandemía “tutto il popolo”, comp. di pân ‘tutto’ e dêmos ‘popolo’.
Non siamo pronti a una prova globale come questa.
E’ vero, ciclicamente sono state tante, nel corso della storia dell’uomo, le pandemie.
Ma questa ha viaggiato più velocemente, non grazie ai piedi umani, né sulle ruote dei carri, ma a bordo di voli transoceanici.
La bomba è esplosa rapidamente, senza alcuna esenzione geografica, ed è già arrivata anche nei villaggi africani. La globalizzazione ha potuto tutto questo. “Tutto il popolo” ha potuto questo.
Inconsapevolmente forse. O forse no.
Quanto abbiamo corso fino ad oggi? Tanto, troppo.
Ogni singolo giorno dell’ultimo ventennio siamo andati più veloci del giorno prima.
Il web, i telefonini, la connessione wireless, i viaggi intercontinentali andata e ritorno in 24 ore, il progresso insomma.
Progresso. Derivato di progredi. Stavolta il latino, più familiare. “Andare avanti”.
Andare avanti, ne siamo sicuri?
La nostra velocità supersonica ha permesso al virus di aggredirci con altrettanta velocità, e per tentare di difenderci abbiamo tirato il freno a mano, ma non è bastato, e ci stiamo accorgendo di voler inserire una retromarcia, di voler tornare indietro per non consentire al virus di prenderci.
Il lockdown è iniziato, ma le catene produttive non si sono ancora fermate. Non si è fermata l’industria manifatturiera, non si è fermato il terziario. Ma si fermeranno tutti, per decreto, è inevitabile.
Nella mia Crotone ancora pochi giorni di calma apparente e poi sarà l’inferno. Non solo negli ospedali. Sarà dura per tutti. Attendo un messaggio di speranza, ma non lo trovo.
La Signora con la falce inizia a far parte concretamente delle nostre vite. Ci dice che abbiamo bruciato il nostro tempo, e che sarà molto democratica nelle scelte. Colpirà trasversalmente, senza badare al censo.
Eppure questa Signora dal teschio incappucciato che ci fa paura, invoca il nostro rispetto, quello che non abbiamo avuto fino ad oggi, perché ci siamo sentiti imbattibili nelle nostre scoperte scientifiche e tecnologiche, pronti ad avere l’antidoto per ogni ostacolo sul nostro cammino, senza rispetto per la natura, per i tempi delle stagioni, per il creato.
Questo problema riguarda solo noi umani, che nella biosfera siamo una caccola, e rappresentiamo una parte infinitesima del mondo dei viventi.
Siamo piccoli, come il virus, che ci dà la caccia ma che non riuscirà a fermare il mondo, perché la terra continua a girare, e quel cielo, come cantano in questi giorni dai nostri balconi, è sempre più blu, indifferente alla nostra nuova e tragica miseria umana.
Perché miseri siamo, e ce ne stiamo accorgendo lentamente, bollettino dopo bollettino, in questo teatro dell’assurdo, di cui ancora non abbiamo preso consapevolezza.
Oggi ho visto alcune foto del nostro Paese. Sono tornati i cigni sul Naviglio a Milano, a largo di Cagliari si vedono i delfini, e nel Canal Grande cominciano ad affiorare i pesci.
Fino a ieri i colori della creazione stavano sbiadendo al grigio, ma adesso c’è ancora speranza.
Speranza che tutto questo possa servire ai nostri figli.
Sarà lunga, me lo sento.
Ma che lunga sia, perché una lezione così non si potrà mai dimenticare.
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