di FILIPPO COPPOLETTA
Si rifà al film francese campione di incassi l'omonimo spettacolo teatrale "Quasi amici" che porterà in Calabria i celebri ed amati attori Paolo Ruffini e Massimo Ghini. Doppio appuntamento lunedì 20 (al teatro Grandinetti di Lamezia) e giovedì 23 marzo (al teatro Comunale di Catanzaro) per un nuovo imperdibile appuntamento incastonato nel cartellone di eventi della stagione promossa da Ama Calabria.
In attesa del suo arrivo nella terra del Sud, abbiamo sentito l'iperattivo Ruffini che nello spettacolo veste il ruolo dell'irriverente Driss (nel film interpretato da Omar Sy) in una versione tutta italiana che abbiamo ripercorso nel corso di una chiacchierata piacevole e molto stimolante che ha portato l'attore a riflessioni profonde legate all'attualità che ci circonda, restituendo l'immagine di un personaggio che pone al primo posto la sincerità in controcorrente rispetto ad una periodo intriso di omologazione del pensiero sociale e soprattuto di un asfissiante politically correct.
Nei prossimi giorni sarà in Calabria con lo spettacolo “Quasi amici”. Le posso chiedere in cosa differisce questa versione teatrale, tutta italiana, da quella cinematografica francese?
«La trama è la stessa ma, in questo caso, io sono un ragazzo che vive di espedienti e per mantenere il Reddito di cittadinanza, si presenta ad un colloquio per ottenere il posto di badante. Abbiamo cercato di andare in una profondità differente rispetto al film o comunque di rappresentare le istanze di un soggetto che vive a perdigiorno».
Quanto è stato difficile calarsi nei panni dell'originale Omar Sy?
«Senza falsa modestia devo ammettere di non aver impiegato grande fatica. Lavoro già con il mondo della disabilità e con il personaggio condivido la politica che lo caratterizza: quella di non far sentire la differenza neanche in positivo. Il senso del pietistico non mi appartiene e neanche al personaggio che interpreto. Forse questo mi ha consentito di avvicinarmi molto a lui. Credo che l’empatia sia sempre più importante della pietà. Trovo anzi offensivo dire ad un disabile “poverino”, è termine carico di ipocrisia. I disabili vogliono che venga loro riconosciuto lo stesso valore degli altri».
Il "politicamente corretto" sta forse diventando una piaga dei nostri giorni?
«Stiamo attraversando una fase medievale. Il politicamente corretto è un qualcosa che si rifà all’epoca fascista. Mussolini voleva che l’arte fosse politicamente corretta, da ciò deduco: chi vuole il politicamente corretto è un fascista. Se qualcuno decide cosa io possa o non possa dire, quello è fascismo. Ciò che Fellini fece in “8 e mezzo”, quando Mastroianni frustava le sue donne, oggi credo non sarebbe possibile perché l’ignoranza fascista fa sì che oggi manchi anche la volgarità, la stessa che c'era nei cinepanettoni che oggi un po' mancano. È gravissimo. Sulla satira non si può lesinare ed in molti casi non scherzare su determinate questioni lo trovo (quello sì) discriminatorio. Ricordo quella volta in cui mi ritrovai a fare una serie di battute su diverse persone in mia compagnia e saltai un ragazzo con sindrome di down. Fu lui stesso a chiedermi perché lo avessi saltato, perché lo avessi discriminato rispetto agli altri: aveva ragione. Scherzare su qualcuno significa farlo sentire uguale a chiunque altro».
L’altro protagonista di "Quasi amici" è Massimo Ghini. Con lui ha già recitato tante volte e di recente lo ha anche diretto nel suo ultimo film "Ragazzaccio". Come è stato ritrovarsi sul palco?
«Abbiamo dovuto fare un passo indietro, eravamo amici e siamo dovuti diventare “Quasi amici”. Con 6 film insieme alle spalle, sul palco non vedrete solo la professionalità ma la sinergia di due amici. Massimo non fa l’attore: è l'attore. Ha una credibilità che in Italia possiedono in pochi. Lo paragono a Harrison Ford per la capacità di interpretare qualsiasi personaggio con una credibilità assoluta. Ci sono tanti attori che si legano ad un ruolo e lo interpretano per tutta la carriera, lui ha invece la capacità di essere chiunque da Enrico Mattei al Papa».
Attore, regista, conduttore, sceneggiatore, doppiatore… di tutti questi ruoli che fanno di lei un artista completo, quale la affascina maggiormente? In quale rivede maggiormente se stesso?
«Non saprei, mi diverte tanto e troppo fare tutto. Devo però dire che amo di più avere un pubblico dal vivo che tanti follower sui social. E in quest’ottica il teatro mi lusinga molto perché penso alle persone che fanno fatica per essere presenti. Guardare un film a casa è comodo, venire a teatro di comporta acquistare un biglietto, raggiungere il posto, trovare un parcheggio. Vedere un teatro pieno è una bella soddisfazione. L’arte non può essere delivery e il teatro non lo è”.
E del contributo che stanno dando le piattaforme digitali al modo di fare cinema, cosa ne pensa?
«È in atto una rivoluzione. Ne periodo pandemico le piattaforme hanno salvato il mercato cinematografico ma hanno reso il cinema un club dove ad incassare maggiormente sono film riproposti a distanza di 40 anni, come Akira o Frankenstein Junior. È cambiata la percezione del pubblico. C’è una dicotomia totale tra lo scollamento del pubblico e l’offerta dell’esercizio. I giovani ormai pensano in verticale (su uno smartphone, ndr), non sono più abituati a vedere qualcosa in cinemascope e mentre l'attenzione maggiore oggi è sul mondo social, resto del parere che il cinema sia il social network più importante che esista, che ti porta a vedere un film nella stessa sala con decine di sconosciuti: quella è una vera esperienza sociale».
È dunque in crisi il mercato cinematografico?
«Non credo. Reputo però che ci sia la necessità di alcuni accorgimenti. Intanto bisognerebbe guardare alla qualità dei film e non alla quantità: oggi c’è un’offerta strabordante con colleghi che hanno realizzato dieci film all'anno. E poi i biglietti dovrebbero costare meno. Combinando questi fattori, il pubblico potrebbe essere più motivato a tornare in una sala buia, dove si proietta un film e per due ore si tiene il telefono in tasca».
Qualche anno fa ho assistito con emozione al suo spettacolo "Up & Down" in cui traspariva grande affinità tra lei e i ragazzi protagonisti dello spettacolo. Che esperienza è stata quella e come proseguirà?
«È un progetto che sto portando avanti da otto anni e continuerà ancora. Un'idea che reputo storica: in un momento in cui si parla tanto di inclusività, abbiamo portato in scena determinate tematiche ma senza parlarne. Quando vado nei teatri con questi attori li etichettano come "ragazzi speciali". Ma perché? Che hanno più speciale di me? Io non sento alcuna differenza tra me e loro. "Up & Down" è più un atto di egoismo che di altruismo, perché sto meglio io».
L'affetto ed il bene tra lei e i ragazzi protagonisti dello spettacolo si avvertiva davvero tanto...
«Ma io vorrei un mondo fatto di persone con la sindrome di down, quelli con un numero standard di cromosomi sono diventanti di una noia bestiale. Ti sono sincero, preferisco stare a tavola con una persona che capisce meno ma è più sensibile, rispetto a qualcuno che capisce di più ma non ha alcuna sensibilità. Quando arriviamo a teatro stiamo venti minuti solo ad abbracciarci. Con loro parlo di cose reali, di sentimenti, di divertimenti, di donne, parli di cose che hanno a che fare con la bellezza. Io mi nutro della loro felicità".
Nei prossimi giorni girerà la Calabria con il suo tour. Già altre volte è stato qui. Cosa la colpisce di più di questa terra?
«La possibilità. Quelle volte in cui mi ritrovo sulla costa calabrese - nelle zone di Paola ad esempio - guardo il panorama e penso che se qualcuno facesse venti ore di volo per trovarsi qui alla fine direbbe che ne è valsa la pena. La Calabria ha delle occasioni di cui gli italiani non beneficiano. Una terra con opportunità straordinarie ma ancora inespresse. Una regione di grande bellezza ma inespressa, come una ragazza stupenda che però esce poco per timidezza. Vorrei allora fare un invito a questa regione come fosse quella bellissima ragazza, l’invito a mostrarsi di più perché è giusto che tutta Italia apprezzi le meraviglie che possiede».
Grazie Paolo.
«Ah, dimenticavo, non posso non sottolineare che ogni volta rischio di ingrassare. Siete dei killer tra dolci, salati e vino. Ricette con ingredienti impossibili. Una volta mi sono imbattuto in delle signore che cucinavano manco fossero uscire da un film di Harry Potter. Siete pazzeschi!».
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