di EMANUELE CANNISTRÀ
Tra pochi giorni, le celebrazioni pasquali ci riporteranno a vivere il mistero più profondo della fede cristiana: la morte e la resurrezione del Figlio di Dio. Saranno giorni ricchi di riti, preghiere e tavole imbandite, dove la colomba e l’agnello si alternano tra tradizione e affetti familiari. Ma per molti, sarà anche un momento di riflessione su chi non è più con noi, sui nostri defunti, su quei legami che nemmeno la morte riesce a spezzare. Eppure, mentre celebriamo la vita che trionfa sulla morte, resta dolorosa e inaccettabile l’indifferenza con cui si ignora il dovere umano e istituzionale di garantire una sepoltura dignitosa. Nei cimiteri, spesso trascurati e ridotti a luoghi di abbandono, giacciono da mesi corpi senza pace, anime in attesa di un ultimo gesto di rispetto.
Negli obitori, le settimane e i mesi passano, mentre le promesse rimangono solo parole e le risposte tardano ad arrivare. C’è chi, come il cappellano, continua a chiedere instancabilmente ascolto, dignità e intervento. Tuttavia, le sue parole si perdono nel silenzio assordante di chi dovrebbe prendersi cura di quei luoghi sacri, non solo come spazi fisici, ma come testimonianza viva della nostra civiltà. Pasqua è resurrezione, certo. Ma è anche un richiamo alla memoria, alla giustizia e alla pietà. Perché non c’è vera resurrezione senza il rispetto per la morte. E non ci può essere pace nelle coscienze finché i nostri morti non avranno avuto, almeno, il diritto a un riposo che onori la loro umanità.
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