di SERGIO LAVECCHIA*
La tragedia di via Caduti e la sparatoria di Viale Isonzo hanno portato all’attenzione della città e dei media nazionali le condizioni in cui versano alcune periferie sud della nostra città. Stampa nazionale e media locali, associazioni, singoli cittadini e chi più ne ha più ne metta, tutti a commuoversi per la tragedia di una intera famiglia e ad additare la malavita (in particolare quella di etnia rom) presente in questi territori come la causa principale del disagio e del degrado di queste periferie.
Intanto credo che bisogna cominciare a dire la verità ed a chiamare le cose con il loro vero nome, cominciando col non usare più il termine “periferia” per queste zone (ed in particolare per viale Isonzo 222), quanto piuttosto il termine “ghetto”; perché la periferia ha un carattere puramente geografico (la distanza da un ipotetico centro), mentre la parola ghetto ha un connotato politico (la ghettizzazione). In queste zone ci troviamo di fronte a persone e/o nuclei familiari che già da 30/40 anni, dopo essere stati espulsi dai territori in cui erano nati (centro storico ma anche dagli accampamenti rom), sono stati trapiantati e ghettizzati in questa parte di città ed abbandonati a sé stessi. Chiusi nelle loro case, senza nessuno spazio di socializzazione, senza nessun servizio pubblico o privato. La solitudine è diventata la costante della vita di queste persone, nel disinteresse non solo delle istituzioni pubbliche ma anche della cosiddetta società civile che ha preferito non vedere e non sentire le grida di dolore, seppur flebili, che in questi 30/40 anni si sono alzate da questi ghetti.
Occhio non vede e cuore non duole. Abbiamo preferito non vedere e ricordarci della esistenza di questi ghetti solo quando fatti di cronaca malavitosa ci hanno ricordato che queste realtà esistevano e non erano scomparse. Ed anche in queste circostanze l’unica soluzione è stata quella della repressione affidata alla forze di polizia e non di provare ad intervenire per rimuovere le cause del disagio e della marginalità sociale.
Siamo tutti responsabili della tragedia della famiglia distrutta dall’incendio, come siamo tutti responsabili della sparatoria su viale Isonzo. Sono responsabili i politici che hanno utilizzato negli anni queste zone solo come bancomat elettorali. Sono responsabili le istituzioni pubbliche che in tutti questi anni non hanno mosso un dito per provare a modificare la realtà di questi ghetti, anche quando un loro intervento veniva sollecitato. Ma sono ugualmente responsabili la maggior parte dei cittadini benpensanti della nostra città che si sono sempre girati dall’altra parte facendo finta di ignorare queste realtà, tranne poi utilizzarne i traffici sporchi. Ma credo che una grande responsabilità ricada anche sulle spalle della cosiddetta società civile organizzata (associazioni, volontariato, etc.) che, tranne pochi casi, non ha mai voluto veramente sporcarsi le mani da queste parti.
Credo che la città intera dovrebbe riflettere su quanto accaduto in questi giorni e non lasciare cadere tutto nel dimenticatoio fra un po’ di tempo. Non ci illudiamo che questa città possa avere un futuro diverso che non passi attraverso uno sviluppo ed una rigenerazione di queste zone; è l’anello debole che garantisce la resistenza di una catena e queste zone sono l’anello debole della città; se si rompe del tutto questo anello trascinerà dietro tutta la città.
Per chi vive in queste zone riuscire ad avere ancora una speranza in un futuro diverso rischia di essere solo una illusione. Spero che non sia così. Due fatti nuovi lasciano sperare che qualcosa possa cambiare. Dopo tanti anni abbiamo una nuova Amministrazione Cittadina e dall’inizio di questo anno un nuovo Pastore ha preso la guida della Diocesi. Due fatti importanti perché sembra esserci un interesse ed una sensibilità diversa verso questa parte del territorio cittadino.
Però, pur tra le mille difficoltà presenti, sarà presto necessario passare dall’interesse e dalla sensibilità ai fatti concreti. Speriamo che presto ci siano anche questi e speriamo soprattutto che, se progetti ed interventi verranno messi in atto in queste zone, siano veramente rivolti a quanti vivono in queste realtà e non, piuttosto, a garantire solo un ritorno economico a chi dovesse gestirli.
Mai, come in questa situazione, è attuale quanto diceva don Milani: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortire da soli è avarizia”.
*Abitante nelle periferie cittadine (Corvo) – capo scout e componente dell’associazione di volontariato INSIEME
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