dì DOMENICO BILOTTI*
Sgombriamo il campo: l'elezione del Presidente della Repubblica si è chiusa con una Presidenza ben voluta e autorevole (quella di Sergio Mattarella) ma dietro essa non ha funzionato nulla. Quello che non era mai successo per settant'anni, a questo giro, è successo per due volte in nove anni: rivotare un Presidente della Repubblica, ieri appena dettosi convinto di non voler riesercitare il ruolo, per mancanza di condivisione, idee, accordo. In una parola: politica. E così ci teniamo il lato positivo di quella "inconsuetudine costituzionale" sulla quale molti partiti politici acciambellano le proprie inadeguatezze. I soliti realisti ci dicono peraltro che, tra le note positive di uno scenario altrimenti sconsolante, c'è la garanzia di portare a casa soldi e progetti del PNRR.
Draghi, competente nella regia del governo su finanza e diplomazia, il presidente Mattarella paziente moderatore della discussione politica più spiccia e sgarbata. Squadra che vince non si cambia. E certo c'è del vero in questo schema, ma fino a quando? Fino a quando il governo sarà risparmiato o almeno non bloccato strumentalmente dalle beghe di maggioranza? Fino a quando Mattarella potrà placare animi che si impastoiano sulle poltrone e non sui problemi?
Speriamo, piuttosto, si capisca la centralità del PNRR, di cui ormai si parla molto a orecchio e poco, troppo poco, nella sostanza. L'Italia è destinataria di una frazione di finanziamento che non ha pari nella storia della UE: la vituperata Europa che diventa (mai aveva smesso di esserlo) una coperta di Linus per i momenti duri come i postumi del tremendo primo semestre del 2020.
E dovremmo metterci in testa di quanto quel finanziamento, e le quote derivatene in base a collocazione e materie, siano essenziali per tutte e cinque le province calabresi: Cosenza, Crotone, Vibo, Catanzaro e Reggio. Agganciare e come il treno del PNRR deve diventare tema decisivo di ogni concreta valutazione amministrativa, di ogni concreta campagna elettorale, di ogni minimo sforzo di progettualità che sia a breve, a medio o a lungo termine. E nel dirlo non ci teniamo affatto fuori da quelli che hanno criticato, e anche aspramente, l'idea di governance che altrimenti rischia di passare. Dalle (poche) carte che si son lette e dal loro (limitatissimo) sviluppo progettuale pratico, una via di mezzo tra un libro dei sogni, un elenco di promesse tradite e un nemmeno troppo ben scritto regolamento condominiale.
Non possiamo permetterci assolutamente che sia così, anche se il soggetto legislatore -la maggior parte dei parlamentari, per chiamare le cose col loro nome- non sembra avere le idee chiarissime. Ed è una sconfitta, perché una interlocuzione celere, articolata e producente tra Parlamento e Governo non avrebbe affatto un ruolo secondario nel disciplinare le modalità di gestione e di erogazione. Serve confronto e subito, a tutti i livelli, sul cosa fare (di portata generale) ma ancora più puntualmente su come lo si voglia fare e con che riuscita. Se non c'è questo, le vagonate di Bruxelles (e di Roma) troveranno la loro linea gotica molto prima dell'Eboli che troneggia nel libro capolavoro di Carlo Levi. Serve un'idea chiarissima dei settori di intervento o la Calabria resterà ancora più fuori da tutto. Un confronto aperto e per dossier: le nuove infrastrutture, la ridotazione sanitaria, la conversione ecologica, le azioni di inclusione.
Serve diminuiscano i costi dei trasporti facendo lievitare la loro frequenza; serve che pandemie vecchie e nuove non mettano a nudo una volta di più la polvere sotto il tappeto di un sistema della cura che certo spende ma spende male e che dai tagli non sa riprendersi (né può permettersi). Serve che si investa sulla qualità e sulla sicurezza della vita, che passa per l'ambiente e passa per il riconsiderare tutte le soggettività che sono state marginalizzate dai processi decisionali: la formazione e l'istruzione, le diverse abilità, l'integrazione migratoria, la pianificazione urbanistica tra centri sempre più spolpati nella loro dimensione storica e periferie sempre più distanti nel loro vissuto quotidiano dalla vetrina ingannevole del benessere altrui.
Parliamone subito, tutti, presto e bene. Perché fare partecipazione democratica e amministrazione di prospettiva, oggi, non può pensarsi senza temi solidi sulla spesa eccezionalmente consentita e perciò da rimodulare per mettersi a beneficio collettivo. Criminale sarebbe il contrario. È verosimile che Recovery Fund e PNRR non siano il piano Marshall, ma speriamo non divengano un altro terremoto dell'Irpinia. A buon intenditor.
*Docente Umg
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