"Popoli in movimento", a Catanzaro l'inaugurazione della mostra fotografica di Francesco Malavolta

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images "Popoli in movimento", a Catanzaro l'inaugurazione della mostra fotografica di Francesco Malavolta

  08 giugno 2024 06:45

di MARCO VALLONE

“Le foto per me non sono arte, sono denuncia”. Secco e netto l'intento di Francesco Malavolta di raccontare con le sue fotografie le storie di persone, luoghi, popoli. Immigrazione ed emigrazione al centro di molti degli scatti dell'autore, oltre alle difficoltà e alle esperienze di chi scappa da luoghi e contesti che non conosciamo. “Molto del tempo che non lavoro faccio su e giù per l'Italia, con lo scopo di voler far entrare le persone più in profondità delle cose attraverso lo strumento delle foto”.

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E' una mostra fotografica sulla realtà migratoria nuda e cruda quella inaugurata ieri pomeriggio a Catanzaro, nello spazio “Coriolano Paparazzo” al civico 189 di Corso Mazzini, nel secondo appuntamento della rassegna “Le grandi mostre di fotografia dell'umano” , promossa dalla Cine Sud di Francesco Mazza e patrocinata dall'Amministrazione Comunale di Catanzaro. Intitolata “Popoli in movimento”, la Mostra Personale di Francesco Malavolta ha visto la partecipazione non solo dell'autore, fotoreporter nativo di Corigliano Calabro impegnato da oltre vent'anni nella documentazione dei flussi migratori che interessano il nostro continente, ma anche del Sindaco Nicola Fiorita, dell'assessore alla cultura Donatella Monteverdi e di Francesco Mazza. La mostra, ad ingresso libero, sarà visitabile dal 7 al 21 Giugno.

Il Sindaco Nicola Fiorita , oltre al piacere di partecipare a questa iniziativa, ha evidenziato come si stiano immaginando e organizzando “una serie di attività sul corso. Francesco Mazza ha una passione civile non comune, ed io sono felicissimo di essere qui. C'è insieme a me Donatella Monteverdi che ha seguito tutto quello che abbiamo fatto. Le fotografie sono bellissime ed emozionanti, abbiamo il privilegio di scoprire cose belle ed importanti: vi chiedo di fare di tutto per fare venire qui quanta più gente possibile. Le persone, di fronte a queste foto, possono emozionarsi”.

“Basta guardare le foto, le parole non servono”. Così ha iniziato il suo intervento l'assessore alla cultura Donatella Monteverdi. “La settimana prossima avremo diversi eventi con tanti ragazzi che stanno lavorando per la città. Penso a 'Nuvola', il festival del fumetto, e a 'Ci vediamo daMargherita'. Noi vogliamo questo, che i giovani qui non si sentano fuori dal mondo, ma che possano pensare che a Catanzaro c'è da fare. Che si può fare”.

Ha preso quindi la parola Francesco Mazza, promotore dell'iniziativa: “Francesco Malavolta l'ho conosciuto anni fa e l'ho invitato a Matera per qualcosa di simile. Vedo la mia come una missione verso l'umanità, ma non penso di stare facendo niente di speciale. Le persone in foto stanno diventando numeri e tutto ciò non si può tollerare. Farei una mostra al mese contro la guerra o contro la povertà, Malavolta è una persona che si preoccupa per l'umanità, e non vedrete spettacolarità nelle foto, perché lo spettacolo allontana dalla realtà, distoglie. Le sue foto potete sentirvele addosso, e il maggior complimento che gli si può fare è quello legato alla forza che trasmettono i suoi lavori fotografici, non la bellezza. Tutte le foto hanno qualcosa dentro, e comunicano. I popoli si sono sempre spostati da quando esiste il mondo, ora è diventato un problema: spiegatemi perché“.

E' venuto dunque il turno dell'autore, Francesco Malavolta: “Negli ultimi 5 anni ci saranno stati una ventina di eventi a cui ho partecipato in Calabria. C'è voglia di conoscere, di andare in profondità e non restare in superficie. Le foto rappresentano l'emigrazione verso l'Europa. Non si sa nulla di emigrazione, soprattutto a partire dalla primavera araba. Tutto ciò che si dice su questo fenomeno è distrazione di massa: non accade solo in Italia, ma si emigra anche verso la Spagna, la Grecia e le Canarie. Chi è omosessuale nei Paesi dai quali si emigra rischia di prendere 15 anni di carcere. Quei ragazzi non possono muoversi come noi attraverso il passaporto, non hanno i nostri stessi strumenti. Chi non ha i documenti fa questi viaggi della speranza. Io non sono più un ragazzino, ho 50 anni, e da ragazzino, quando mi chiedevano che sogni avessi, non sapevo cosa rispondere. I sogni cambiavano di giorno in giorno. Perché un bambino che in Africa o in Medio Oriente ha dei sogni non può provare a realizzarli? Non capisco quel modo violento di dire loro che 'non devi partire perché non stai scappando dalle bombe'. L'80% delle persone che scappano vivono in Paesi a bassissimo reddito. Esiste una problematica legata a cercare di prendersi cura degli altri: si può ancora, dopo tantissimi anni, vederla come un'emergenza? Oltretutto, per la persona che viene salvata, l'emergenza non finisce. Dovremmo prenderci cura di queste persone. L'emigrazione è un fattore normale sin dalla nascita dell'uomo. Un bambino che, nei luoghi in cui vive, sa di rischiare di morire di malaria e di non arrivare a 45 anni se, con l'aiuto di tutto il villaggio, decide di provare a realizzare i suoi sogni partendo, per me quello diventa un eroe. Noi spesso non usciamo dalla nostra zona di comfort nemmeno per 50 metri, mentre loro fanno un viaggio che sanno bene quanto sia estremamente rischioso. Nelle carceri libiche le donne spesso sono costrette a ballare, sotto la minaccia 'Se non balli ti ammazzo'. Non facciamo nulla per rendere a queste persone la vita più facile, ma gliela complichiamo con leggi e regolamenti. Sarà molto importante vedere cosa succederà a livello politico nei prossimi giorni, perché l'emigrazione continuerà a crescere”.

Infine, dopo un lungo ed appassionato dibattito col pubblico presente all'evento, spazio anche ad alcune considerazioni dell'assessore Donatella Monteverdi, che ha ricordato come, nelle prime fasi di insediamento dell'amministrazione comunale, ci si trovò a dover affrontare uno sbarco di migranti: “Eravamo impreparati, ed è stato un momento significativo. Montavamo letti, prendevamo vestiti... Tutta la città ha cercato di aiutarci. Quindi c'è anche il lato mezzo pieno del bicchiere da guardare, dal momento che il numero delle persone che voleva aiutarci era talmente alto che non sapevamo cosa far fare esattamente ad ognuno. Quel tipo di episodio ci fa capire come il pensiero di comunità, non sempre scontato adesso in città più divise e meno unitamente concentrate di una volta, possa ritornare. Basta poco: questo è compito soprattutto nostro. Bisogna fare attenzione a pensare che, se ti occupi di queste cose, sei radical chic. Cazzate. Basta!”

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