Cimino: “L’indignazione frustata e la rivoluzione negata”

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images Cimino: “L’indignazione frustata e la rivoluzione negata”
Franco Cimino
  08 dicembre 2019 19:09

 

Non c’è un osservatore di fatti politici più capace di un politico, che, costretto(si) all’esterno, guardi la realtà con onestà morale e intellettuale. Io mi sforzerò di continuare a essere quella persona nella quale il leggere la realtà, con gli occhi e la mente, si accompagni alle normali letture di cose buone e belle, per aggiungervi il cuore mentre guardi il mondo. Restiamo in Calabria, dove a pochi giorni dalla presentazione delle candidature nulla si muove e tutto si agita in risibili dispute su chi è più nuovo dell’altro e sui leader confezionati troppo liberamente con le carte natalizie su oggetti appena comuni.

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Si potrebbe meglio dire che in una regione in cui da decenni non vi è alcuna opposizione autentica e in cui tutto è stato consentito al vecchio potere e ai piccoli poteri( forti?) che lo manovrano dai loro “nascondigli” non proprio nascosti, nessuno, dico nessuno, ( tranne i soliti pochi non visti) si è agitato per “ agitare” le coscienze prima ancora che le piazze, le quali puntualmente restano vuote il giorno dopo ogni annunciata indignazione. Nessuno che abbia condotto una lotta dura per il lavoro che manca, per le imprese che chiudono e per quelle che non aprono, per le acque inquinate, per l’acqua sprecata e rubata, per la povertà che ha cambiato radicalmente la geografia sociale, la classica stratificazione oggi sparita persino dagli studi di sociologia oltre che da quelli dell’Istat. Nessuno che abbia, specialmente dopo la messa fuori campo di Mimmo Lucano, saputo battersi per le sofferenze degli immigrati e per il loro strumentalizzato utilizzo nella furba copertura della vera nuova questione, in Calabria resa più grande dalle sue ataviche condizioni di arretratezza. Quella cioè della povertà estesa, e dei poveri costretti a odiarsi tra loro e a combattere, come estraneo e diverso, lo straniero, che, senza fare richiami storici alla emigrazione del novecento, sempre di più ci assomiglia. Nessuno che si sia agitato, fronteggiandola in prima persona, nei confronti della più grave crisi della politica che si sia mai potuta osservare in Italia. Quella che si vive in Calabria, da decenni ormai, è crisi del potere democratico e, se si aggiunge la questione morale che ha infiacchito le istituzioni, anche crisi della democrazia. Della ‘ndrangheta non ne parlo. Non saprei più cosa dire. Se, nonostante le numerose operazioni giudiziarie e le relative pesanti menomazioni, qui è ancora forte e da qui è diventata fortissima in Europa e nel mondo, un motivo, legato alla debolezza della nostra terra e alla fragilità del suo tessuto democratico, deve pur esserci. E di certo ci sarà se ancora, come le più grandi indagini confermano, stretto è il legame tra ambienti della grande criminalità e parte considerevole della politica, e di queste con i poteri diversi e nascosti e la brutta imprenditoria, meglio dire “ prenditoria” ché in questa categoria tanti ve ne entrerebbero.

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Questa Calabria avrebbe dovuto scendere in piazza spontaneamente o almeno con quelle persone che a ogni campagna elettorale si scoprono rivoluzionari, politici innovatori e capaci di tessere le più grandi strategie per mettere insieme sigle e liste per combattere l’odiato nemico. Solo questo nel loro agire concitato, non un programma di rottura con il passato, non un’idea “ rivoluzionaria” sulla regione. Peccato perché, dopo la chiusura dell’attuale fase politica con i nuovi assetti e il completamento del processo di normalizzazione avviato in tutta lo politica italiana, ci vorranno altri vent’anni per risvegliare dal suo dramma la Calabria e i calabresi. Ma leggiamo, così solo per diletto o piacere tecnico, oltre che per verificare se le mie previsioni di trenta giorni ora sono siano fondate, il pessimo quadro elettorale che ci viene mostrato.

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Il centrosinistra che aveva, specialmente dopo la nascita del nuovo governo Conte, possibilità di riprendere una partita già persa con l’ultima amministrazione regionale, ha fatto tutto ciò che neppure nelle più vecchie osterie dell’Ottocento si faceva. E cioè la rissa tra tutti fino all’ultimo che restasse in piedi, malconcio ma vivo. Il centrodestra, che sembrava potesse potesse vincere a tavolino una regione letteralmente regalata, ha fatto tutto ciò che neppure un dilettante poco intelligente avrebbe potuto fare, con ciò rimettendo in campo gli avversari. I Cinque Stelle, che potrebbe ancora fare l’unica cosa possibile per vincere la competizione ( allearsi col PD e con altri) resta fermo nella rinata vocazione alla solitudine aristocratica e insincera. Parimenti, fanno i tre candidati cosiddetti civici, che invece di mettersi insieme sul terreno del cambiamento, o mettere a disposizione di chi potrebbe in qualche modo cambiare le cose la propria piccola forza, si scontrano tra loro e giocano da soli. Uno scenario di paesi di pazzi, anzi di scemi, ché i pazzi non esistono. A questo punto la partita si riapre e può accadere che vinca l’uno o l’altro schieramento tradizionale, anche se la mia vecchia previsione dice, e qui la confermo, che se dai tronconi si formeranno le candidature di Mario Occhiuto e di Mario Oliverio, la presidenza potrebbe essere lotta tra loro due, per i motivi che ho già analizzato, con gli altri tutti felicemente sotto il podio. E la Calabria resterà a dormire, con la testa sul cuscino della indignazione frustrata e della rivoluzione negata.

                                                                                       Franco Cimino

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