di TERESA ALOI
Un raffreddore come un altro. Febbre, tosse e naso che cola. Fossimo in un altro periodo la terapia sarebbe un farmaco per tenere a bada la febbre, un buon latte caldo e a nanna presto.
Carlotta (il nome è di fantasia per proteggere la privacy) ha appena 5 anni. Abita a Catanzaro dove frequenta una scuola dell'infanzia. La sua è una storia che indigna, che vale la pena di essere raccontata. E non solo perché riguarda una bimba di 5 anni. E' una storia che mostra le storture di un sistema sanitario che, questa emergenza covid, acuisce ancor di più, se possibile.
Qualche giorno fa, Carlotta fa fatica ad alzarsi. Non sta bene. Ha la febbre e la gola gonfia. Immediatamente la sua mamma telefona alla pediatra che richiede un tampone da effettuare a stretto giro di posta. Passano cinque giorni. Ben cinque giorni. Ma quella telefonata da parte dell'Asp non arriva. Su sua iniziativa la signora richiama per sollecitare e, finalmente, dopo quattro giorni viene contattata. L'appuntamento è al Poliambulatorio di Catanzaro Lido, in un parcheggio, dove si ritrova in mezzo a decine di persone.
Le operazioni iniziano, dando la precedenza ai bambini. Per il resto è una una disorganizzazione incredibile. "Speravo di non ritrovarmi in mezzo a tutta questa gente potenzialmente con il covid - racconta la giovane mamma -, e credo che, come me, tutti avessero questa speranza. Peraltro,l a distanza di una settimana siamo ancora in attesa del risultato"
Le è stato detto che in caso di tampone positivo glielo avrebbero comunicato immediatamente ma, giustamente, la pediatra senza esito non rilascia il certificato per il rientro a scuola. E Carlotta, dopo oltre 10 giorni, è ancora a casa e non sa se ha contratto il virus.
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