Marino (Associazione Nazionale forense): "Non ci sono i termini per trattenere agli arresti l'avvocato Pittelli"

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images Marino (Associazione Nazionale forense): "Non ci sono i termini per trattenere agli arresti l'avvocato Pittelli"
L'avvocato Pietro Marino
  04 settembre 2020 09:35

di PIETRO MARINO*

Il nome di Giancarlo Pittelli, 67anni, avvocato, ex deputato, titolare di uno studio legale con una dozzina di professionisti, attivi in campo civile e penale, rimane impresso nella mente di tutti quanti i Calabresi per la Sua militanza politica e la sua innata capacita di comunicazione l’oratoria l’eloquenza, conoscenza del diritto. In campo professionale è figlio d’arte. Lo studio infatti è stato ereditato dal padre Mario (già consigliere censore della Banca d’Italia di Catanzaro), morto nel 2014 a 104 anni, e fondato dal nonno materno Francesco Caroleo, con cui Giancarlo ha imparato inizialmente il mestiere. Giancarlo Pittelli ottiene una serie di incarichi nelle liquidazioni di banche locali, diventa consigliere dell’Ordine forense di Catanzaro, consulente della Regione Calabria, presidente della Sacal (aeroporto di Lamezia Terme).

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Insieme all’attività forense, Giancarlo Pittelli, già presidente della società calcistica Catanzaro in serie C2, nel tempo ha poi ricoperto incarichi più strettamente politici. Nel 1980 diventa consigliere comunale a Catanzaro e poi a fine anni Ottanta assessore alla Cultura, con la Democrazia cristiana. Nel 2001 ottiene un seggio come deputato, nel 2006 è eletto in Senato con Forza Italia in Calabria, e nel 2008 entra di nuovo a Montecitorio con Il popolo della libertà, che nel 2011 lascia per aderire al gruppo misto. Quell’anno è tra i deputati della maggioranza che non vota il rendiconto generale dello Stato 2010, contribuendo alla crisi del governo Berlusconi IV. Sarà tra i fondatori in Parlamento del gruppo misto Liberali per l’Italia-Pli, prima di aderire, nel 2012, a Forza del Sud di Gianfranco Miccichè, tutti incarichi condotti senza alcuna contestazione. Oggi viene contestato, in particolare, di essere intraneo alla cosca Mancuso e vicino al boss Luigi Mancuso. Intanto della vicenda che lo riguarda si occupa la Cassazione.

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Pittelli al momento dell’arresto è accusato del reato gravissimo di associazione mafiosa e di altri due reati specifici (i cosiddetti reati-fine) commessi, secondo l’accusa, in concorso con il colonnello dei carabinieri Naselli. Abuso d’ufficio e violazione di segreti d’ufficio. C’è un ricorso al tribunale della libertà che ottiene un primo risultato: l’accusa di partecipazione ad associazione mafiosa viene derubricata in concorso esterno, però con una specifica: concorso esterno come “capo promotore”. E’ un nuovo reato. Però dura poco. Qualche mese. Poi il 25 giugno si pronuncia la Cassazione. Annulla senza rinvio, cioè in modo assoluto e definitivo, le accuse contro il colonnello Naselli e di conseguenza anche quelle di concorso con Naselli rivolte a Pittelli. Cioè nega che esistono i due reati-fine, come li abbiamo definiti. Naselli è immediatamente scarcerato. 

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Tutta la vicenda parte il 19 dicembre dell’anno scorso, con l’inchiesta Rinascita Scott. Alle 3 e mezza del mattino alcuni agenti bussano a casa di Pittelli, a Catanzaro. Lo tirano giù dal letto, c’è un ordine di arresto. Lo portano nel suo studio di avvocato e inizia una perquisizione che dura fino alle 17,30. Alle 21 Pittelli entra in carcere, non ha mai mangiato né bevuto in queste circa 18 ore. Viene sistemato in una cella dove c’è solo una branda. Il giorno seguente, alle 9, 30, senza conoscere gli atti (circa 30 volumi) che contengono le accuse contro di lui, viene chiamato a rispondere all’interrogatorio di garanzia. Cosi come comunicato in una lettera pubblicata dalla Nuova Calabria l’Avvocato Pittelli denuncia condizioni fisiche e psicologiche da film dell’orrore. Lo stesso si avvale della facoltà di non rispondere, perché non è informato su nulla. Alle ore 15 dello stesso giorno con un volo militare è portato a Nuoro, più possibile lontano da Catanzaro e in un luogo difficilmente raggiungibile, il carcere di Badu ‘e Carros. Pittelli si augura comunque di poter essere al più presto interrogato e poi scarcerato. Ma il tempo passa, non succede niente.

Propone istanza al tribunale del riesame. Viene portato a Sassari alle 9 del mattino e resta in attesa di essere interrogato fino circa alle 21 della sera. A quel punto il Presidente lo fa entrare nell’ufficio e lo informa che se ha qualcosa da dire a sua difesa ha dieci minuti di tempo per dirla. Pittelli riesce a dire pochissime cose che peraltro non saranno prese in considerazione. L’interrogatorio al riesame è del 9 gennaio. Ora siamo a fine agosto. Pittelli aspetta ancora di essere interrogato dal Pm che lo accusa. Non è mai stato ascoltato. Avete capito bene: mai ascoltato. Chiede ripetutamente di essere interrogato. Nel mese di luglio viene convocato da un Pm di Nuoro che non conosce nulla dell’inchiesta che ha portato Pittelli in carcere. Pittelli si rifiuta di rispondere al Pm di Sassari e insiste per essere interrogato dai Pm che hanno chiesto il suo arresto. Niente.  Proviamo intanto a capire quali erano le accuse specifiche. Primo reato, violazione del segreto. Pittelli avrebbe avuto (da Naselli) la notizia segreta di una interdittiva antimafia in arrivo ai danni di un certo Rocco Delfino, e avrebbe dato la notizia a Rocco Delfino. Si è però saputo che la notizia era pubblica. Piccola distrazione degli inquirenti. Secondo reato, abuso d’ufficio. Sarebbe stato commesso in un momento successivo al primo. E nel frattempo Pittelli era diventato avvocato di Delfino. In quanto avvocato di Delfino, avrebbe chiesto un favore di nuovo a Naselli. C’è una intercettazione che lo accusa. Per Pittelli resta il concorso esterno. La prova sarebbe sempre in una intercettazione telefonica. Dalla quale risulterebbe che Pittelli sarebbe la talpa che fornì i verbali dell’interrogatorio di un pentito – segretissimi – a un esponente della mafia di Vibo. Li avrebbe ottenuti attraverso la confidenza di un agente segreto.

L’intercettazione prova che Pittelli disse a un suo amico che il pentito – si tratta di Andrea Mantella – ha scritto alla madre: “Vi vergognerete di me”. Se ha detto questo al suo amico vuol dire che conosce il verbale delle dichiarazioni di Mantella e dunque è lui la talpa. C’è poi però una seconda intercettazione, della quale gli inquirenti non tengono conto. È sempre di una telefonata tra Pittelli e quello stesso amico, e Pittelli dice: «È inutile che mi chiedete i verbali di Mantella perché io non ne so niente». Questa intercettazione dovrebbe scagionarlo, no? Ma si può obiettare: e allora come sapeva della lettera alla madre? Semplice: la notizia della lettera alla mamma era uscita su tutti i giornali calabresi e sul Fatto Quotidiano un mese prima della prima intercettazione. L’on. Pittelli è sempre lì in cella. Solo. Lontanissimo dalla sua città. Abbandonato. I Pm non lo interrogano. Ritengo che questa situazione in qualità di operatore del diritto sia giusto dire che è costituzionalmente illegittimo l'art. 275, comma 3, secondo periodo, c.p.p., nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 416-bis c.p., è applicata custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresì, rispetto al concorrente esterno suddetto delitto, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. E' quanto emerge dalla vicenda dell’Avvocato Giancarlo Pittelli, lo afferma anche una  sentenza della Corte Costituzionale del 26 marzo 2015, n. 48. In più c’è da dire che la differenza principale tra l'associato in associazione mafiosa ed il concorrente esterno risiede, come oramai pacifico in giurisprudenza, nel fatto che il secondo, sotto il profilo oggettivo, non è inserito nella struttura criminale, pur offrendo un apporto causalmente rilevante alla sua conservazione o al suo rafforzamento, e, sotto il profilo soggettivo, è privo dell'affectio societatis, laddove, invece, l'intraneus è animato dalla coscienza e volontà di contribuire attivamente alla realizzazione dell'accordo e del programma criminoso in modo stabile e permanente (Cass. pen., Sez. VI, 20 dicembre 2012, n. 49757).Il concorrente esterno, quindi, è un soggetto che non appartiene al sodalizio, non essendo ravvisabile quel vincolo di adesione permanente al gruppo criminale che è in grado di legittimare, sul piano empirico-sociologico, il ricorso in via esclusiva alla misura carceraria, quale unico strumento idoneo a recidere i rapporti dell'indiziato con l'ambiente delinquenziale di appartenenza e a neutralizzarne la pericolosità.

Appare del tutto evidente, inoltre, come l'apporto del concorrente esterno possa risultare anche meramente episodico: circostanza che rende ancor meno giustificabile tanto la totale equiparazione del concorrente esterno all'associato, quanto l'omologazione delle diverse modalità concrete con cui il concorso esterno è suscettibile di manifestarsi, ai fini dell'esclusione di qualunque possibile alternativa alla custodia carceraria come strumento di contenimento della pericolosità sociale dell'indiziato, pertanto ritengo che l’Avvocato Pittelli debba essere scarcerato per il fatto che  la presunzione di pericolosità sociale cede solo di fronte alla dimostrazione della rescissione definitiva del vincolo di appartenenza al sodalizio, nel caso del concorrente esterno il parametro per superare la presunzione è diverso e meno severo, rimanendo legato alla prognosi di non reiterabilità dell’eventuale contributo alla consorteria.

                                                                                                        *Avvocato, dirigente dell'Associazione Nazionale forense

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