Presa diretta su Rinascita Scott. Caiazza (Unione Camere penali): “Ecco perché la Rai ha torto”

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images Presa diretta su Rinascita Scott. Caiazza (Unione Camere penali): “Ecco perché la Rai ha torto”
Gian Domenico Caiazza
  19 marzo 2021 18:46

di GIAN DOMENICO CAIAZZA

La Rai ha reagito duramente, per bocca del suo Amministratore Delegato Salini, alle veementi proteste che in particolare l’Unione delle Camere Penali ha indirizzato alla trasmissione Presa Diretta, condotta su RAI 3 dal giornalista Riccardo Iacona, dedicata alla indagine “Rinascita Scott” della Procura di Catanzaro. Secondo Salini, si tratta di un fulgido esempio di servizio pubblico, e di un giornalismo d’inchiesta del quale andare fieri.

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Il dott. Iacona a sua volta si è polemicamente rivolto al sottoscritto, chiedendo se per caso io sia dell’idea che i giornalisti possano interessarsi di una inchiesta giudiziaria solo dopo la sentenza definitiva.
Entrambe le reazioni sono frutto di una speculazione retorica e polemica che elude il tema che abbiamo posto. Vediamo subito perché.

La trasmissione andata in onda non ha nulla del c.d. “giornalismo di inchiesta”. Il dott. Iacona e la sua redazione hanno semplicemente e comodamente preso visione degli atti di quella indagine, evidentemente messi a disposizione dalla Procura o dalla Polizia Giudiziaria, e confezionato in modo del tutto unilaterale una sintesi degli elementi di prova (intercettazioni e video riprese, in modo particolare) ritenuti più significativi ed efficaci in termini accusatori. Peraltro, l’adesione della narrazione al punto di vista accusatorio è manifesta.

Ciò avviene nello stesso momento in cui ha inizio il processo davanti al Tribunale di Catanzaro. Nel processo penale quegli atti sono ignoti al Tribunale, al quale è fatto divieto di conoscerli se non mediante la eventuale e futura acquisizione degli stessi in dibattimento, in contraddittorio tra le parti, dunque valutate e superate eventuali eccezioni difensive sulla loro utilizzabilità e legittimità, e valutati altresì i contributi difensivi (peritali, testimoniali, documentali) che ne contestino il significato probatorio. Si chiama “verginità cognitiva del Giudice”, garanzia imprescindibile della terzietà ed indipendenza del suo giudizio. Quale fine essa abbia fatto, grazie al nostro “giornalismo d’inchiesta”, è superfluo dirlo.

L’idea che intercettazioni, videoriprese e dichiarazioni accusatorie o apparentemente confessorie rechino in sé il crisma della oggettività è una delle più indecenti ipocrisie del giornalismo nostrano. Non facciamo altro nei processi, quotidianamente, che constatare -come è d’altronde perfettamente ovvio- che il significato di una conversazione o di una immagine sia destinata a confermarsi o invece a radicalmente trasfigurarsi alla luce, per esempio, di un’altra precedente o successiva. Qualunque conversazione, decontestualizzata o indebitamente contestualizzata, muta del tutto il proprio significato. Allo stesso modo, se mostro un filmato deprivato del suo sonoro (come esattamente accaduto in trasmissione), e la faccio seguire da altra scena che però non è pertinente alla prima, sto confezionando una rappresentazione arbitraria e falsificata di quell’evento. La valutazione del significato di quelle immagini, così come la legittimità della scelta di quali rappresentare e quali no, non può che spettare alla sua sede naturale, cioè al processo ed ai suoi giudici, non certo alla redazione di una trasmissione televisiva, per di più palesemente partigiana verso l’organo dell’Accusa.

Lo stesso vale per la prova dichiarativa: se si riportano le dichiarazioni accusatorie ed autoaccusatorie di uno dei protagonisti della indagine, tacendo che già un Giudice (non un PM: esistono anche i Giudici) le ha qualificate come non attendibili, si opera una scelta deliberata di falsificazione del flusso informativo su quei fatti. Ancora una volta, ecco la ragione per la quale si tratta di materiale necessariamente riservato in via esclusiva al vaglio dibattimentale.

 Se si informa la pubblica opinione -con toni apertamente elegiaci- di una indagine giudiziaria, accuratamente nascondendo gli oltre 140 provvedimenti di annullamento e revoca (spesso per “insussistenza del fatto”) di misure cautelari già pronunciati nel corso di essa, si fa una consapevole attività di disinformazione.

A proposito di “giornalismo di inchiesta” e di servizio pubblico: come mai non c’è verso di vedere, nemmeno per sbaglio, una puntata sui 140 indagati ingiustamente arrestati, detenuti ed infangati in questa, come in altre indagini precedenti di segno analogo? Poi, per carità, dott. Salini, ognuno ha la sua idea di cosa sia il servizio pubblico. Io di certo non apprezzo la Sua.

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