Presa in carico dei detenuti con disturbi mentali, Ferro e Prisco (FDI) interrogano il ministro della Giustizia dopo la condanna della Cedu

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images Presa in carico dei detenuti con disturbi mentali, Ferro e Prisco (FDI) interrogano il ministro della Giustizia dopo la condanna della Cedu
Wanda Ferro e Emanuele Prisco
  04 febbraio 2022 19:02

«Il governo affronti il tema dalla presa in carico dei detenuti con disturbi mentali, anche per scongiurare il rischio di nuove condanne per l’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo».

E’ quanto afferma il deputato di Fratelli d’Italia Wanda Ferro, che insieme al collega Emanuele Prisco ha rivolto una interrogazione al ministro della Giustizia Marta Cartabia, dopo che la Cedu ha condannato l’Italia per aver trattenuto illecitamente in carcere per più di due anni un cittadino italiano con problemi psichici.

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«Nel gennaio 2019 – ricorda Wanda Ferro -  il Gip di Roma aveva disposto per il detenuto, sofferente di disturbo della personalità e disturbo bipolare, accusato di molestie nei confronti della sua ex fidanzata, resistenza a pubblico ufficiale, percosse e lesioni, il suo “immediato collocamento”  per un anno in una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), le strutture che hanno sostituito gli Ospedali psichiatrici giudiziari; non avendo trovato posto nelle Rems, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria lo aveva collocato in carcere, ma, come sottolineato dalla Corte di Strasburgo, “non ha beneficiato di alcuna strategia terapeutica globale per la gestione della sua patologia, e questo, in un contesto caratterizzato da cattive condizioni carcerarie”.

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In particolare, secondo l’organismo del Consiglio d’Europa era dovere del governo italiano trovare un posto nelle Rems o un’altra soluzione adeguata, come peraltro la Corte aveva espressamente indicato nel provvedimento provvisorio emesso da Strasburgo il 7 aprile 2020;  l’allora Governo italiano (Conte II) rispose che non era in suo potere decidere alcuna altra collocazione per l’uomo, considerato socialmente pericoloso, se non le Rems, come disposto dal Gip, dove però “nonostante le ripetute richieste, nessun posto si è liberato”».

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La storia delle Rems, è iniziata con la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari: sono 32 su tutto il territorio nazionale, attive dal 2015, e ospitano poco meno di 600 persone. In molti casi, come ha spiegato Miravalle dell’Associazione Antigone, “i reparti psichiatrici diventano sezioni dove ci si limita alla cura farmacologica, senza nessun tipo di riabilitazione. Non è sempre così, naturalmente. Ma quando si instaurano queste dinamiche, spesso dovute all’alto numero di detenuti in cura e alla carenza di personale, il rischio è che la salute del detenuto non abbia margini per migliorare. La pandemia ha complicato le cose, data la difficoltà nel far entrare gli educatori in carcere. Ma, Covid a parte, mancano i medici: in media, nelle carceri italiane lo psichiatra è presente 8.97 ore a settimana ogni 100 detenuti. Un tempo chiaramente insufficiente per andare oltre la semplice prescrizione di farmaci”. Nella sua interrogazione Wanda Ferro chiede anche al governo quali siano i dati aggiornati sul numero di soggetti con problemi psichiatrici detenuti negli istituti penitenziari italiani e, in particolare, di soggetti detenuti, in attesa di collocazione presso le Rems. 

«La sentenza della Cedu – conclude Wanda Ferro - dimostra un cortocircuito istituzionale che non può rimanere irrisolto e ci impone di immaginare nuovi modelli per la salute mentale, in modo da prendere in carico anche i detenuti con patologie psichiatriche gravi».   

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