di MARCO VALLONE
“E' importante parlare ai giovani del fenomeno della 'ndrangheta, che deve sempre essere all'attenzione di tutti perché la 'ndrangheta purtroppo è un fenomeno esistente e anche molto invasivo nella nostra terra, ma non solo. Ci vuole quindi un'attenzione particolare”. Così Marisa Manzini, sostituto procuratore generale di Catanzaro, ha indicato lo scopo precipuo dell'appuntamento di questa mattina all'Università Magna Graecia di Catanzaro dove, nell'aula “Salvatore Venuta” del Dipartimento di Giurisprudenza, Economia e Sociologia (Diges), è stato presentato il suo romanzo “Il coraggio di Rosa: storia di una donna che ha ripudiato la 'ndrangheta”, edito da Rubbettino.
L'evento, moderato da Felice Caristo (tra i principali promotori dell'iniziativa), rientra nell'ambito dell'insegnamento di “Diritto e letteratura” e ha visto la partecipazione, oltre che dell'autrice, anche di Giovanni Cuda, rettore dell'Università Magna Graecia; Aquila Villella, direttrice DIGES; Vito Turco, capo gabinetto del prefetto di Catanzaro; Tiziana Montalcini, presidente del Sistema Bibliotecario di ateneo; don Roberto Corapi, cappellanno Umg; Elvira Spadafora, senatrice accademica; Damiano Carchedi, già rappresentante degli studenti UMG. Più nel cuore dell'appuntamento, sono da segnalare gli interventi di Paola Chiarella, professoressa associata di filosofia del diritto e di Alberto Scerbo, professore ordinario di filosofia del diritto.
“Il coraggio di Rosa è il coraggio di una donna appartenente a una famiglia di 'ndrangheta – ha affermato Marisa Manzini – che decide, con forza e coraggio, di allontanarsi per avviare una vita assolutamente libera e secondo quelle che sono le regole del vivere civile, insieme a suo figlio. Il problema delle donne all'interno delle famiglie di 'ndrangheta è un tema a me molto caro, perché purtroppo la 'ndrangheta è un'associazione di tipo maschilista e la figura femminile, al di là poi delle diverse sfaccettature, continua ad essere una figura sottomessa, in secondo piano, e quindi suddita del maschio di famiglia, non libera e priva di dignità. Raccontare questo alle ragazze è utile soprattutto per metterle in guardia: allontanarsi, eventualmente, da chi è in qualche modo legato a questi contesti 'ndranghetisti mi sembra veramente una cosa importante da farsi”.
Marisa Manzini descrive nel libro, però, non solo la figura di Rosa, ma anche un'altra donna, una giudice che si innamora della Calabria e si trasferisce dal nord al sud con l'obiettivo di trasformare la terra calabrese un passo alla volta. Un personaggio, verosimilmente, dal sapore autobiografico, tenendo conto di come Manzini, sostituto procuratore generale di Catanzaro, sia novarese di nascita e si sia trasferita nel 1993 in Calabria, prendendo servizio come sostituto procuratore della Repubblica presso la Procura di Lamezia Terme. E allora è ancora possibile oggi trovare qualcuno che faccia una scelta simile a quella che una delle donne protagoniste del suo romanzo, ma anche lei stessa, ha compiuto? “Direi proprio di sì. Molte giovani colleghe ancora oggi – ha evidenziato Marisa Manzini – vengono a lavorare in Calabria, e poi apprezzano e si innamorano di questa terra. Perché è una terra davvero molto bella, direi quasi meravigliosa per tutto quello che può offrire dal punto di vista generale e anche di persone, perché non possiamo non rimarcare la particolare generosità dei calabresi. La Calabria presenta, ovviamente, questo fenomeno, e quindi figure umane particolarmente pericolose anche. Ma c'è tutta quell'altra parte della Calabria bella che va rappresentata e illustrata per quello che è”.
“Il coraggio di Rosa: storia di una donna che ha ripudiato la 'ndrangheta” è stato descritto dal rettore del'Università Magna Graecia, Giovanni Cuda, come “un libro forte. Un libro che racconta una storia vera, una storia di riscossa rispetto a un problema che, ahimè, è endemico nella nostra regione: quello del malaffare, e della 'ndrangheta in particolar modo. Lo narra però sotto una prospettiva originale, che è quella di una donna che ha deciso di ribellarsi a questa incudine che, pesantemente, rovina e governa le dinamiche della nostra regione. Le donne stanno assumendo, purtroppo, un ruolo sempre più determinante anche nella politica della 'ndrangheta: prendono spesso il posto dei loro uomini, dei loro mariti, dei loro figli. E quindi una testimonianza così importante, come quella che ci viene raccontata nel libro, è fondamentale. E' una storia che deve essere raccontata, e i risultati e gli effetti devono essere fortemente percepiti dai nostri studenti. Perché, attraverso queste testimonianze, si costruisce una coscienza civile”.
Secondo Felice Caristo, moderatore dell'incontro odierno, bisogna comunicare ai giovani che “la cultura della legalità va esercitata ogni giorno, e parte soprattutto dalle nuove generazioni. Questo è il messaggio che la dottoressa Marisa Manzini trasmette in tutta la sua bibliografia: dal primo testo, 'Fai silenzio ca parrasti assai', all'altro suo saggio, 'Donne custodi, donne combattenti', ora è passata ad un romanzo, 'Il coraggio di Rosa', che si rifà a delle donne che, anche all'interno delle consorterie mafiose, hanno cercato di liberare i loro figli dal giogo di una vita che non ha futuro”. Il cappellano dell'Umg, don Roberto Corapi, ha evidenziato dal canto suo come la presenza in università di Marisa Manzini sia “un segno molto bello per educare le coscienze. Come si fa ad educare le coscienze? Ascoltando i giovani, in particolare educandoli alla legalità. Bisogna chiamare le cose per nome. Il male è male, il peccato è peccato. Quindi bisogna tornare a chiamare le cose per nome, denunciando sempre di più il male. Diceva un vescovo calabrese tanti anni fa che la 'ndrangheta è un cancro esistenziale, ed è vero. Però se noi partiamo dai giovani, dai nostri giovani, dai bambini, ecco, con loro noi possiamo fare tanto. Perché crescono sempre di più in un ambiente sano e con i principi e i valori della giustizia e della legalità”.
Infine Damiano Carchedi, già rappresentante degli studenti UMG, si è soffermato sul concetto di resilienza, necessario per ripudiare la 'ndrangheta ma non solo: “Il termine resilienza è quello che più di tutti abbraccia la tematica dell'incontro di oggi. Gli studenti devono capire che non sempre il destino che sembra segnato è quello che poi ad ognuno di loro spetta. Bisogna avere anche il coraggio, a volte, di parlare delle proprie paure, e di denunciare i momenti difficili, perché ognuno di noi, soprattutto negli ambiti universitari, può averne. Sappiamo bene come, purtroppo, sempre più spesso si legge di casi di suicidio tra i ragazzi e non c'entra nemmeno il fatto dell'età: è una questione di salute mentale, che sicuramente si è andata ad aggravare dopo il Covid. Quindi l'invito che io faccio alla popolazione studentesca, anche grazie a questo evento, è quello di ritrovare il senso di umanità. Bisogna aprirsi a chi si ha vicino – ha concluso Carchedi -, non vedendo le persone come competitor, ma come persone con cui fare gruppo e superare i problemi”.
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