Preti indagati, la Procura chiarisce

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  03 giugno 2019 16:25

VIBO VALENTIA - Nessuna alterazione della realtà, ma la ricostruzione evidenziata nelle indagini e la mancanza di qualunque comunicazione ai magistrati da parte degli indagati. Il procuratore della Repubblica Nicola Gratteri interviene direttamente sull'indagine della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro per la quale è stato chiesto il rinvio a giudizio con l'accusa di tentata estorsione aggravata dalle modalità mafiose nei confronti di due sacerdoti, don Graziano Maccarone, segretario particolare del vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, e don Nicola De Luca, parroco della chiesa della Madonna del Rosario di Tropea (leggi la notizia)

La Procura di Catanzaro non ha, infatti, condiviso i toni della nota della Diocesi di Mileto, Nicotera e Tropea che, di fatto, ha assunto una posizione di difesa nei confronti dei due prelati, indicando anche alcune "anomalie" nelle indagini. Tesi respinte ora da Gratteri, il quale ha evidenziato che dopo la notifica del'avviso di conclusione delle indagini preliminari del 25 febbraio 2019, nei confronti di quattro indagati, solo due di essi hanno chiesto di essere sentiti dal pubblico ministero titolare delle indagini, portando allo stralcio delle loro posizioni. 

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I due sacerdoti, invece, evidenzia la nota a firma di Gratteri, «non hanno depositato memorie o documenti, non hanno prodotto documentazione relativa ad investigazioni difensive, non hanno chiesto al Pm il compimento di ulteriori atti di indagine, non si sono presentati per rilasciare dichiarazioni, né hanno chiesto di rendere interrogatorio». Per questo, è stata esercitata l'azione penale.

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«Soltanto a seguito della notifica della data dell’udienza preliminare, fissata per il 3 ottobre 2019, perveniva all’Ufficio del Pm - aggiunge il procuratore di Catanzaro -  una comunicazione a mezzo Pec del 24 maggio, con la quale il difensore degli indagati non formulava alcuna richiesta di interrogatorio per i propri assistiti, limitandosi a chiedere un colloquio dello stesso legale con il Pm titolare delle indagini».

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Ma il procuratore Gratteri ha evidenziato anche alcune incongruenze riportate nella nota della diocesi: «Si fa riferimento alla circostanza che uno dei sacerdoti protagonisti della vicenda (Graziano Maccarone) è stato, a sua insaputa, registrato dalla persona offesa - vittima del reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso - e si allude al fatto che il contenuto di queste registrazioni sarebbe stato “artatamente alterato e artificiosamente interpretato, fino ad accusarlo di messaggi a sfondo sessuale con la figlia disabile”. Si legge, inoltre, che “l’accusa di violenza e tentata estorsione di stampo mafioso usata da don Maccarone nei confronti del Mazzocca è senza riscontri nella realtà” - afferma ancora Gratteri - e che per tale ragione gli imputati hanno provveduto a sporgere querela nei confronti del denunciante, presso la Procura della Repubblica di Vibo Valentia».

Gratteri ha voluto, però, sottolineare anche che «i plurimi accertamenti compendiati nel fascicolo delle indagini preliminari recano oltre alle iniziali registrazioni versate agli atti dalla vittima della vicenda estorsiva, le acquisizioni dei tabulati telefonici, gli esiti delle attività tecniche di intercettazione, nonché le dichiarazioni dalle persone informate sui fatti. Proprio dagli esiti intercettivi emergeva che don Graziano Maccarone si era attivato per recuperare la somma di denaro data in prestito al Mazzocca, percorrendo quella che lo stesso prelato definisce come la c.d. “strada parallela”. In particolare, rivolgeva al Mazzocca Roberto delle minacce esplicite, comunicate tramite don Nicola De Luca (il quale avrebbe dovuto fargli sapere che “se dovesse partire la macchina non si fermerà più”, avvisandolo di “stare attento, che avrebbe fatto una brutta fine”) e in ultimo - dopo aver preso contatti con soggetti di Nicotera Marina, tra cui il cugino Tomeo Antonio Giuseppe, vicino a Mancuso Pantaleone classe agosto ‘61 – riferiva all’amico sacerdote di mettersi da parte, informandolo, nelle date del 18 marzo e del 26 marzo 2013, che sarebbero intervenuti direttamente “i suoi cugini” e avrebbe recuperato il denaro “per vie traverse”, specificando altresì che si era “mosso con i suoi canali”, che “aveva informato la cerchia che lui sapeva” e che fosse stato per la sua volontà, li avrebbe mandati quella notte stessa a picchiare il Mazzocca ma le persone alle quali si era rivolto gli avevano detto “Non è il momento ...Perché ora il fuoco è troppo alto e ci bruciamo tuti... perché se agiamo... questo fa una piccola cosa... a voi rimane la macchia... non è che non vi rimane!!!!!.... quindi non è ora... cercate un compromesso per temporeggiare... e poi interveniamo....”».

La Procura della Repubblica di Catanzaro ha precisato di avere voluto rendere nota questa parte dell'indagine «al fine di dare massima trasparenza all’azione della Procura della Repubblica e della Squadra Mobile di Vibo Valentia, che hanno operato senza “artatamente alterare e artificiosamente interpretare” le risultanze oggettive confluite nel fascicolo delle indagini». 

 

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