di PAOLO CRISTOFARO
Dopo i cinquant'anni di solito un uomo entra nella fase matura della vita. Dovrebbe avere, nella maggior parte dei casi, piena coscienza ormai di sé stesso, di ciò che lo circonda, del suo passato e delle sue intenzioni per il futuro. Vale lo stesso per i luoghi? Vale lo stesso per una città come Catanzaro? Vale lo stesso per un capoluogo di regione che compie cinquant'anni? Catanzaro è matura? E' cosciente del proprio passato, del proprio valore e del proprio futuro? Domande difficili alla quale rispondere, ma conoscere la storia di questo capoluogo può rappresentare il primo tassello per un percorso di crescita collettivo.
Alessandro De Virgilio, giornalista e responsabile della redazione catanzarese dell'Agi (Agenzia Giornalistica Italia), qualche anno fa, ha pubblicato con Rubbettino un interessante volume, intitolato "Le quattro giornate di Catanzaro", sui moti dei giorni tra il 25 e il 28 gennaio 1950. Già, perché prima dei celebri scontri con Reggio Calabria, negli anni '70, c'è stato un preludio, a Catanzaro, nel 1950. Ricostruire con De Virgilio questo momento dimenticato dai più, aiuta i lettori, ma forse di più i lettori catanzaresi, a capire sé stessi e la propria città.
Cinquant'anni di Catanzaro capoluogo. Torna attuale il suo libro?
"Si sta celebrando il mezzo secolo dall’istituzione delle regioni e del capoluogo Catanzaro. Di mestiere non faccio lo scrittore di libri, ma questa storia mi ha affascinato, è stata certamente e prima di tutto una ricerca personale. Volevo offrire il punto di vista di Catanzaro, raccontare le lotte dei catanzaresi dimenticate. Neanche io conoscevo questa storia. L'ho appresa da un saggio di Moisé Asta. Qualche anno dopo ho preso lo spunto per scrivere il libro. Nasce da una sete di conoscenza personale. Chi scrive un libro lo fa per documentarsi. Offrire qualcosa al pubblico. E quando iniziai a scrivere il libro era in uscita uno scritto di Pantaleone Sergi a riguardo, autore della prefazione al volume".
Perché questi fatti di Catanzaro, del 1950, sono passati in secondo piano?
"Sono stati senza dubbio soppiantati dagli eventi del '70, che hanno avuto un clamore maggiore. I fatti di Catanzaro, messi a confronto con quelli di Reggio, diventano marginali. Fu anche quella una protesta accesa e decisa per alcuni giorni, con incidenti e feriti, ma non ci furono i morti di Reggio".
Pare essere questa, lo si legge anche nel suo volume, una storia di dispute iniziate addirittura all'indomani dell'Unificazione, nel 1861, esatto?
"La disputa all'inizio era tra Catanzaro e Monteleone (Vibo Valentia). Nel 1861 con l’Unità d’Italia, si comincia a delineare una polemica sulla centralità delle città. Fino al 1970 non prese forma sostanziale e forte. Nel 1861 c’erano ipotesi di costituire delle articolazioni regionali nel nascente stato unitario. Fu posta la candidatura di Catanzaro, già sede della Corte d’Appello e riconosciuta come 'capitale' della Calabria Ultra. E qualcuno avanzò anche la proposta di Vibo".
Tornando al 1950, c'erano già le condizioni per le quali Catanzaro potesse risultare idonea a divenire capoluogo?
"Sì, c’erano le ragioni perché diventasse capoluogo. Ospitava gran parte degli uffici di interesse regionale. La medesima polemica, ad esempio, si riprodusse anche in Abruzzo, per le città di Pescara e L’Aquila. Si decise allora nell’immediato dopoguerra, che una commissione parlamentare fosse incaricata di stabilire le città capoluogo di regione. Tra il 1949 e il 1950 la commissione va a Reggio, va a Cosenza e va a Catanzaro, raccoglie elementi. Di Catanzaro vengono considerati i porti di Crotone e Vibo vicini, la centralità, le strutture economiche, una provincia ampia. La Commissione Donatini-Molinaroli produsse anche una relazione a favore di Catanzaro. Alla notizia, poi, della decisione di accantonare ogni decisione, in città venne proclamato lo sciopero generale e scoppiò la rivolta".
E ora? Secondo lei com'è Catanzaro dopo questi cinquant'anni? Ha consapevolezza di essere capoluogo e forza di mantenere il titolo?
"Chiaramente negli anni non si è fatto il massimo per Catanzaro. Basti pensare che la sede della Regione è stata realizzata dopo 40 anni. Per anni gli uffici sono stati sparpagliati per tutto il territorio comunale con sistemazioni di fortuna, con versamenti di denaro non indifferente. C’è stato senza dubbio un interesse speculativo, di tipo immobiliare. Proprietari di locali che chiaramente avevano tutto da guadagnarci. La città non è stata consapevole del suo ruolo. Anche lo sviluppo urbanistico della città è stato orientato verso la Sila più che verso il mare, per interessi speculativi, cosa errata. L’immagine di Catanzaro non poteva essere positiva negli anni alla luce di tutto ciò. Oggi, finalmente, la sede regionale perlomeno è moderna, accessibile".
Non pensa che anche facendo di Reggio la città capoluogo sarebbe successa la stessa cosa? Con eguali dinamiche speculative e possibili errori di percorso?
"Probabilmente anche a Reggio ci sarebbero stati. Però in quel caso la sede del consiglio regionale è stata edificata molto prima, anche se molti fanno notare che se ne è occupato principalmente un presidente di Catanzaro, Anton Giulio Galati, che diede innegabilmente una spinta importante alla costruzione degli uffici di Reggio. Reggio era la città più popolosa. Fu perseguita la politica della conurbazione, dell’epoca fascista. Si assecondò in quel caso la tendenza ad accorpare i piccoli comuni alla città centrale, con l'unione di comuni nota come “Grande Reggio”, che portò all’accorpamento di una seri di paesini dell’hinterland reggino. La città, contro l'ipotesi di Catanzaro capoluogo, vantava i suoi 70mila abitanti, contro i poco più di 60mila di Catanzaro. La rivendicazione di Reggio era fondata sul ruolo di città magno-greca e anche, quindi, sul suo primato demografico. La Calabria non ha mai avuto un riferimento unico e centrale. E’ sempre stata sostanzialmente divisa in almeno tre Calabrie. Da qui l'origine di tutti i dissidi".
La politica che posizione occupò nelle dispute? Cosa accadde nel periodo tra le prime rivolte, nel 1950, e i nuovi scontri del 1970?
"La politica, più o meno palesemente, entrò nelle dispute. Della protesta di Reggio Calabria si impossessò, ad esempio, l’estrema destra. I movimenti eversivi della destra nera, Junio Valerio Borghese, Ciccio Franco, dell'MSI, sono entrati a gamba tesa nelle dispute tra città. Non dimentichiamo i difficili anni '60 e '70, la strategia stragista, il terrorismo. Il tutto influenzò anche le sommosse calabresi. Anche a Catanzaro si erano verificati episodi terroristici. Basti pensare alla bomba alla Provincia o al caso Malacaria. La protesta di Catanzaro poi si spense perché le regioni furono costituite solo nel ’70. Nel periodo intermedio ogni tanto emergeva questa rivalità, c’erano singoli episodi, legati a singoli uffici pubblici aperti nell'una o nell'altra città, che irritavano i rivali di lotta. Ancora oggi ci sono contese".
Quindi secondo lei Catanzaro oggi in che direzione deve guardare? Deve acquisire una maggiore consapevolezza del suo ruolo centrale o costruirla?
"Indubbiamente la città deve sentirsi in competizione e deve lavorare per mantenere e migliorare la propria centralità. Non bastano più, ormai, gli uffici, la storia di un capoluogo. Oggi una città capoluogo deve essere anche una città che offre servizi, che risulta funzionale, che ha più e meglio degli altri. Se non si parte da queste considerazioni, non si potranno mai sviluppare quella consapevolezza e quella vitalità che una città capoluogo deve avere".
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