di EDOARDO CORASANITI
Oltre cento episodi di spaccio di sostanze stupefacenti. Una valanga di droga. Decine di estorsioni. Un teatro di criminalità crescente e pervasivo, invadente, soffocante.
Il biglietto da visita degli indagati ed arrestati dell’operazione di questa mattina (Leggi qui) è quella di un’organizzazione strutturata, articolata, gestita in modo scientifico con il pensiero sempre fisso in testa: raccogliere denaro per mantenere amici e parenti detenuti in tutta Italia. Con un filo diretto a San Luca e che finisce ad Avellino.
Tutto parte da un bar di San Sostene, eletta come sede operativa dell’organizzazione criminale. E’ il luogo dove gli indagati di “Prisoners tax” lasciano, conservano, custodiscono la droga per poi rivenderla nel soveratese, da Davoli a Gasperina, da Montepaone a San Sostene.
E se c’è qualcosa su cui non transigono sono i conti da saldare. Pur di far quadrare il cerchio del bilancio interno, infatti, sono disposti a qualsiasi cosa, anche a minacciare i genitori degli assuntori.
“Ti buttiamo giù la casa con una pala”, gli viene detto ad un padre di fronte alla situazione debitoria del figlio.
Ad altri assuntore, invece, la minaccia è fisica: “vi buco gli occhi, voi volete pestata la testa ed io ve la pesto”.
La richiesta della Procura non accolta dal Gip: Se il Gip, Antonio Battaglia, ha confermato l’impianto delle indagini ricostruite dalla Procura, c’è un punto in cui si trovano in disaccordo: l’aggravante mafioso. Per il giudice delle indagini preliminari è solo riferibile a Carmine Procopio, definito come agevolatore della cosca “Procopio-Mongiardo”, mentre sono “del tutto omesse le considerazioni nei confronti del resto degli indagati”.
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