L'aula bunker del carcere di Bologna dove è in corso l'appello del processo Aemilia "non è idonea".
Questo "era oltremodo chiaro anche prima che in Italia si diffondesse la pandemia. Gli avvocati che hanno partecipato alle udienze fino al 3 marzo hanno lavorato gli uni letteralmente attaccati agli altri. Inoltre, l'areazione all'interno dell'aula è forzata".
E' quanto fanno notare due avvocatesse, Maria Battaglini e Marilena Facente, che difendono imputati nel processo di 'Ndrangheta e che spiegano come i legali impegnati siano "preoccupati" per quello che succederà alla ripresa, giovedì. La Corte di appello aveva prima rinviato dal 3 marzo al 9 aprile, poi sono intervenuti i provvedimenti di sospensione alle attività giudiziarie fino all'11 maggio "e ci è giunta notizia, attraverso i media, che un controllo dell'Asl ha stabilito che l'aula può contenere non oltre 45 persone in totale", dicono Battaglini e Facente, secondo cui "c'è la necessità di procedere nel rispetto delle norme igienico-sanitarie a tutela del diritto alla salute di tutti i soggetti impegnati nel processo". Cioé un numero di 200-300 persone "la cui presenza contestuale in udienza deve essere assicurata in sicurezza".
Il 24 aprile "abbiamo scritto alla Corte esponendo anzitutto questa nostra fondamentale e oggettiva preoccupazione, oltre alle problematiche connesse agli spostamenti di diversi colleghi da regioni lontane dall'Emilia-Romagna". E' stato proposto un rinvio utilizzando il tempo massimo previsto dal decreto legge 'cura Italia'" (il 30 giugno) per risolvere, nel frattempo, "il problema cruciale dell'aula di udienza". Ma "non abbiamo avuto risposta" e la Corte "piuttosto, ha inviato ad ogni difensore una comunicazione contenente il nuovo calendario delle udienze".
E "l'unica indicazione" a proposito dell'accesso in sicurezza all'aula "è una domanda rivolta a noi: se pensiamo di essere presenti. In base a quanto comunicheremo, entro 5 giorni dal 14 maggio, la Corte predisporrebbe le misure finalizzate all'accesso. Ad oggi non abbiamo alcuna indicazione ulteriore e buona parte di noi, che siamo circa 200 dei prevedibili 300 presenti, tolto il pubblico eventuale, ha già reso noto che intende essere presente".
La comunicazione ricevuta dalla Corte "preoccupa" dunque i difensori, per due motivi. "Il primo - concludono - è che sembra proprio che si voglia risolvere il problema dell'emergenza sanitaria in un processo del genere mettendo nelle mani dei difensori la scelta tra il proprio diritto alla salute e il dovere di assistenza all'imputato. Il secondo è che sembra, ancora, che manchi la volontà di affrontare il problema, innestando anzitutto il confronto tra tutti i soggetti interessati".
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