Quella volta che Panariello si perse nell'Aspromonte: l'intervista nei vent'anni di carriera

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images Quella volta che Panariello si perse nell'Aspromonte: l'intervista nei vent'anni di carriera
Giorgio Panariello
  23 luglio 2022 15:49

di FILIPPO COPPOLETTA

Un appuntamento imperdibile quello in programma il prossimo 7 agosto a Le Castella, in occasione del "Le Castella Music Fest" con lo spettacolo teatrale “La favola mia” che vedrà protagonista il rinomato one man show Giorgio Panariello, in un mix di risate, irriverenza, attualità e grandi classici del suo repertorio, ripercorrendo in una veste inedita i 20 anni tra teatro, cinema e televisione. 

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Con “La favola mia” Panariello festeggia infatti i 20 anni di carriera dal grandissimo successo “Torno sabato” e non poteva che scegliere il palco per celebrare questo importante traguardo, dopo aver conquistato le platee di tutta Italia accanto agli amici di sempre Carlo Conti e Leonardo Pieraccioni.

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Lo stesso Panariello, nel giorno precedente lo show, farà altresì un salto nel capoluogo di regione, dove sfilerà sul red carpet del XIX Magna Graecia Film Festival. 

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In attesa del suo arrivo in Calabria, lo abbiamo raggiunto telefonicamente per un’intervista volta a ripercorrere esperienze, idee e avvenimenti che hanno contraddistinto il suo ventennale di carriera, scoprendo con piacere che un piccolo-grande spazio del suo cuore è riservato anche alla nostra terra. 

Panariello, da vent’anni la sua popolarità è stata un crescendo tra tv, cinema, teatro. Il mondo dello spettacolo, in generale, di cui lei è esperto conoscitore, come è cambiato in 20 anni?

«È cambiato tanto. Direi tutto un altro mondo. Le forme di spettacolo sono molte di più: prima c’era solo il cinema, la televisione, il teatro, oggi i social hanno stravolto ogni cosa, offrendo, insieme ad altre piattaforme, molte più possibilità per poter emergere. Prima si poteva puntare solamente allo spettacolo in Rai o su Mediaset, oggi ci sono una marea di contenitori. Proprio per questa ragione, è sempre più complesso lavorare con l’attualità: in passato si programmava tranquillamente una battuta con gli autori da portare in tv qualche giorno dopo, ora una battuta che scrivi la mattina, la sera stessa è già vecchia, c’è il Crozza di turno che l’ha già rilanciata e dunque non ha più senso ripeterla. Anche nello spettacolo che sto portando in giro per l’Italia, molte battute vengono scritte lo stesso giorno in merito a fatti avvenuti nelle ultime ore, altrimenti rischi che il comico della sera prima abbia detto di più e sia stato quindi più bravo di te». 

Mi parlava dei social, dove un video su Tiktok può raggiungere milioni di visualizzazioni da share di prima serata su Rai1. Come valuta questa onda anomala che ha travolto il mondo dello spettacolo del XXI secolo?

«Inizialmente ho combattuto questo fenomeno: non riuscivo a capacitarmi di come il video di un ragazzino intento a fare una cosa del tutto naturale potesse avere un successo da milioni di visualizzazioni, mentre chi studia e prepara ogni spettacolo con impegno e sudore avesse maggiori difficoltà a raggiungere questi numeri. Col passare del tempo ho capito che sono mondi diversi ma, devo sottolineare, per chi vuole fare questo mestiere, per chi vuole restare nel mondo dello spettacolo, il passaggio dai social alla tv o al cinema credo sia obbligatorio: penso, ad esempio, ai The Jackal o a Fedez, personaggi che sono nati sulle piattaforme del web o che di queste fanno un uso continuo, anche loro hanno compreso l’importanza di approdare in tv». 

Lo spettacolo che sta portando in giro per l’Italia e che il 7 agosto sbarcherà a “Le Castella Music Fest” si intitola “La favola mia”. Che favola ha vissuto fino ad oggi?

«La mia è la favola di un ragazzino della Versilia, cresciuto con i nonni, che si è dato da fare e che ha sempre voluto fare questo mestiere. Nello spettacolo va in scena tutta la mia vita, tutti i quei personaggi che nel corso di essa ho realmente incontrato e conosciuto. Probabilmente se fossero stati i tempi di oggi, il Giorgio ragazzino li avrebbe registrati e pubblicati sul web. Io invece li ho memorizzati, li ho fatti miei e quando è stato il momento li ho portati in scena, facendoli diventare i personaggi che hanno costruito la mia carriera. Nel corso dello spettacolo racconto anche come li ho conosciuti, quale mestiere svolgevo a quell’epoca: ho sempre cercato la strada per il mondo dello spettacolo ma, nel mentre, ho fatto anche il cameriere, il raccattapalle, ho strigliato cavalli nei maneggi, il pizzaiolo, l’elettricista navale. E in ogni fase della mia vita c’è sempre stato un personaggio che mi si avvicinava e che ho portato con me per sempre».

Cosa ha imparato ad apprezzare maggiormente del suo lavoro e cosa invece proprio non sopporta?

«Ciò che continuo a non sopportare è lo stress dell’Auditel, dunque degli ascolti. Ultimamente, su Rai3, è andato in onda “Lui è peggio di me”, il programma che ho fatto con Marco Giallini. Gli ascolti non ci hanno premiati ma la critica è stata ottima anche da parte di giornalisti insospettabili. Mentre la cosa che apprezzo sempre di più è lavorare dal vivo, lavorare con la gente: sono più creativo, provo nuovi personaggi, li cambio se non vanno bene, sostanzialmente ho il controllo della situazione». 

Qual è il suo rapporto con la Calabria?

«Partiamo dal fatto che uno dei miei migliori amici è cosentino, quindi il carattere dei calabresi posso dire di conoscerlo molto bene ed ammettere che è un carattere tosto. Ad ogni modo, in Calabria sono stato diverse volte e per svariati motivi». 

C’è un aneddoto che vuole raccontarci legato a queste visite?

«Gli aneddoti in realtà sono due, entrambi legati a quando venivo in Calabria in tempi non sospetti. Ero ancora alle prime armi, all’epoca lavoravo solo in radio e il mio impresario mi fece fare una tournée dove il mio compito era quello di aprire gli spettacoli dei cantanti, intrattenendo per mezz’ora il pubblico presente nelle piazze. Un’impresa che vorrei tanto facessero gli artisti di oggi: far ridere una vasta platea - formata anche da decine di migliaia di persone - lì riunita per un altro artista e che a te non ti conosce nemmeno. Il pubblico calabrese, in particolare, è difficile da conquistare e in più, la comicità toscana, a differenza di altre come quella napoletana o romana, non mi aiutava per niente. Un’ansia tremenda che ancora oggi ricordo come fosse ieri».

E l’altro aneddoto?

«Per un periodo ho lavorato con una cantante che si chiama Donatella Milani. Mi trovavo a Falerna e dovevo raggiungere la costa ionica, a Cirò Marina: sostanzialmente dovevo tagliare la Calabria da parte a parte. Individuai, sulla cartina geografica, un tratto che mi  dava l’impressione potessi arrivare più velocemente alla meta. Imboccai un’autostrada - quella che non è mai stata finita - la percorsi tutta e all’uscita chiesi indicazioni. Mi indirizzarono per una strada secondaria che percorsi non so per quanto tempo. Ad un certo punto mi ritrovai solo, in mezzo all’Aspromonte, alle otto di sera, con la mia Fiat Uno, a bordo 6 milioni delle vecchie lire (l’incasso della sera prima, il mio e della cantante) e come se già non bastasse, ad un tratto mi si palesa davanti agli occhi una di quelle grosse vacche tipiche della zona, nel bel mezzo della strada. Inamovibile. Inizio a suonare, a tirarle anche sassi, nulla, non si voleva spostare. Quel viaggio era diventato un film». 

Che esperienze…

«Ecco, quindi figurati quanto bene conosca la Calabria e quanto abbia avuto modo di apprezzarla». 

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