"Referendum: c’era una volta", la riflessione di Francesco Bianco

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Avv. Francesco Bianco  
  10 giugno 2025 13:41

Quando in politica un istituto viene utilizzato in modo anomalo, per non dire strumentale, accade che si producono danni. Ed è quanto si è verificato con il referendum celebrato l’8 e il 9 giugno scorsi. Sono più i fattori del tracollo della consultazione referendaria, al di là di una pretesa “ristrutturazione” dello strumento di democrazia diretta, più volte evocata in queste ore, a partire dalla modifica della percentuale del quorum richiesto. In verità, anche se qualcuno maldestramente predica l’eliminazione del quorum, la percentuale del cinquanta per cento più uno degli aventi diritto risponde(va) ad un criterio logico di grande semplicità. Trattandosi di un referendum abrogativo, i Costituenti hanno ritenuto di richiedere una percentuale alta, dovendosi produrre l’abrogazione di una legge, a sua volta approvata dalla maggioranza del Parlamento, quindi dalla maggioranza degli italiani, secondo il meccanismo della democrazia rappresentativa. Senza volere certamente sminuire il problema, molto serio,  della scarsa partecipazione democratica, ritengo che sia un errore da matita blu quello di sussumere semplicisticamente la scarsa affluenza, nel caso di specie, alla mancanza di interesse verso il voto, per i motivi più diversi. La crisi della partecipazione democratica è un fenomeno per nulla domestico, che fuoriesce abbondantemente dai confini nazionali. E allora, forse, abbiamo assistito ad una strumentalizzazione poco nobile, che si è concretizzata in un regolamento di conti tutto interno alla sinistra italiana, come d’altro canto era stato preannunciato dai promotori. Qui il vero scollamento con la società. Gli italiani non si sono sentiti coinvolti dalle tematiche in oggetto, peraltro sbandierate da un PD a completo traino del maggiore sindacato italiano. Il tema del lavoro, per come posto dai primi quattro quesiti, è apparso anacronistico, perché oggi il tema assolutamente centrale è il “salario”, non quello occupazionale. In una società veloce, come quella che viviamo, porre il problema del “Jobs act”, significa per la sinistra non essere al passo con i tempi. La normativa emanata dall’allora governo Renzi, rispondeva ad esigenze del momento, legate alle difficoltà per un imprenditore che non era in grado di assicurare stabili livelli occupazionali. E quand’anche qualcuno dei primi quattro quesiti poteva avere un senso logico, come ad esempio il “reintegro”, non credo sia stato serio delegare argomenti specifici e complessi, che dovrebbero, al contrario, essere oggetto di chiare disposizioni normative varate in sede parlamentare. Nel corso della c.d. “Prima Repubblica”, lo strumento referendario ha consentito ad una forza politica, non cospicua nei numeri parlamentari come il Partito Radicale di Marco Pannella, di suscitare particolare interesse nella volontà popolare, al punto da determinare riforme epocali, contribuendo ad un netto condizionamento del nostro apparato normativo. Questo si è verificato perché, lontano da qualunque strumentalizzazione politica contro il governo di turno, le battaglie portate avanti hanno avuto una netta connotazione di lotta per un vero progresso civile. Si trattava di argomenti realmente sentiti da ampi strati della società italiana, come è stato il caso dell’aborto e del divorzio. Sulla medesima scia, anche i referendum sul nucleare e sull’acqua pubblica. Tutto ciò, nel solco di un’attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica intorno a tematiche centrali, di natura squisitamente “civile” e non di tecnica giuridica. Ciò detto, oggi la strumentalizzazione è di tutta evidenza, nell’ambito di un (centro)sinistra che rinnega sé stesso, nel rocambolesco tentativo di volere abrogare provvedimenti legislativi varati in passato. Discorso a parte meriterebbe il quesito sulla cittadinanza, il cui esito dovrebbe indurre molto seriamente a riflettere su una proposta che sia sensata e non di bandiera, che possa rappresentare la vera volontà popolare. A meno che non si giunga al paradosso di volere una dittatura delle minoranze. Non è un caso se si registrano voci contrarie, all’interno del centrosinistra, rispetto alla strada intrapresa. La chiara tendenza del maggiore partito di opposizione, di spostare il baricentro delle politiche democratiche completamente a sinistra, è la dimostrazione plastica di un progetto inconferente, pervicacemente perseguito ma lontano dai reali interessi in gioco. Non ricordo, a mia memoria, un governo di sinistra nel nostro Paese privo di una chiara componente riformista. In democrazia la politica è rappresentanza, la quale, a sua volta, è costituita da numeri. È un grave vulnus, quello di vivere in un dato tempo, in una comunità in cui una maggioranza di governo non abbia un reale contraltare in grado di proporre un modello alternativo di società. Dunque, è sempre più indifferibile l’esigenza di assicurare la centralità delle idee, di quelle che siano autentica rifrazione dei bisogni umani, in una società sempre più multiforme e complessa.

                                                                                                                                 Avv. Francesco Bianco  

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