Regionali. La riflessione del professore Bilotti: “Mettere in agenda la lotta al lavoro minorile”

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Domenico Bilotti
  22 giugno 2021 08:54

 
di DOMENICO BILOTTI*
 

Non sappiamo ancora come evolverà la candidatura di Maria Antonietta Ventura alla Presidenza della Regione. La stampa ha dato tuttavia un certo risalto a due aspetti. Il primo ci permettiamo di menzionarlo senza enfasi.
 
Si tratterebbe di una candidatura in linea con scopi, forme e configurazione della coalizione nazionale Pd-CinqueStelle-Leu: reti associative e cooperazione con i partiti, ma anche fuori da essi. Le formule possono pur essere una discontinuità rispetto alle "unità nazionali" (alcune invero pasticciate o evanescenti, dal 2011 ad oggi), ma è alla prova della lavagna -dei contenuti!- che si vede se il teorema viene dimostrato o meno. L'altro aspetto rimarcato  ancorché sin qui frettolosamente ci pare più interessante: l'esperienza di lungo corso con l'Unicef (oggi da Presidentessa del Comitato Regionale), organismo che della tutela e dell'assistenza minorile ha fatto la sua bandiera, con tante importanti campagne, soprattutto sul fronte estero. Piacerebbe che questi trascorsi mobilitassero una riflessione sociale anche alle nostre latitudini, aperta senza opportunismi a tutti quelli che vivono i problemi sul campo: chi si rifiuta di vederne, potrà continuare a fare quello che sta facendo oggi (magari discettare di formule e formulette, ancora più astruse e spersonalizzanti, a mezzo dei social). 

Un dossier sulla minore età in Calabria almeno al momento non esiste, e invece la politica tutta dovrebbe urgentemente pianificarlo in agenda, perché dalle voci di quel dossier dipende il futuro della regione molto più di quanto vi sia il coraggio di dire. 
Partiremmo dalla dispersione scolastica. La pandemia, nonostante sia stata affrontata col suo volto "smart" e digitale, la ha aggravata e la scolarizzazione rischia di venire meno sia come agenzia di formazione primaria, sia come luogo fisico nella coltivazione della socialità, del riscatto, dei rapporti. Non possiamo permetterci che le larghe maglie del web annacquino il pericolo di un'adolescenza priva di istruzione e formazione. Se la campagna vaccinale otterrà i suoi effetti bisognerà pur tematizzare l'interfaccia dannatamente concreta del problema: come potenziare l'edilizia scolastica? Che legami ci sono, e ce ne sono, tra la messa in sicurezza dei precari locali di troppi istituti e un omologo safety plan per strade, edifici e territori? Scordiamoci che misure una tantum nell'uno o nell'altro ambito possano camminare senza un reale piano complessivo: parlano i crolli, le calamità naturali, la fruizione stessa dell'ambiente scuola dentro e oltre gli orari calendariali ordinari. 
 
Proseguiremmo con l'immediato obbligo civile di un impietoso report sul lavoro minorile in Calabria. Solitamente ce ne viene proposta una lettura stupidamente etnica che ci pare non sappia mordere la carne del serpente. Da noi lavorano (male, a nero e troppo!) minori stranieri e minori calabresi. Ai primi è così preclusa la possibilità di avviarsi a una piena inclusione attraverso la cultura e la formazione: abbandonati e abbonati ad arrabattarsi (magari ingrassando l'internazionale degli aguzzini, che guarda più la cassa dei passaporti). I secondi tuttavia sono scomparsi dai radar dello sfruttamento minorile solo per chi non ha voglia di rendersene conto.
 
Una visione macchiettistica del lavoro minorile in Calabria lo confinerebbe alle fatiche stagionali dell'impresa familiare, che peraltro da più punti di vista è una delle dorsali produttive della regione, una forma aggregata del risparmio e del reddito. E però da noi minori lavorano anche al di fuori dei nuclei domestici e non certo solo per alcune settimane all'anno. Cosa succede? Come si interviene? 

Ci si permetterà di includere un'ultima voce tra gli impegni subito essenziali per il diritto minorile nella nostra regione: il grande tema della Rete. Con le sue enormi discontinuità, la piattaforma digitale ha impedito che il sistema scuola, piegato da tagli e da restrizioni necessitate ma agite senza troppo criterio, collassasse del tutto sul piano dell'offerta. Già però un'eccessiva devoluzione al digitale rischia di pregiudicare la materialità del momento aggregativo, figurarsi se transitiamo dal piano prettamente formativo a quello "deep extended" (così ci parlano gli esperti all'università non della strada, ma della pulsantiera) dei servizi ludici, ricreativi, interinali. 
Negli ultimi anni, è vero, sul piano tanto statale quanto regionale, qualificate realtà istituzionali (dalle preposte autorità garanti sino all'associazionismo forense) hanno elaborato veri e propri articolati contro il fenomeno del cyber-bullismo, ma persino iniziative così lodevoli sul piano sistemico non bastano in senso assoluto. Nelle dinamiche legislative regionali si misurano ovviamente con l'annosa questione del riparto di competenze e per assurdo finanche la migliore normazione territoriale rischia di non avere strumenti di potenziamento nelle maglie della legislazione quadro; d'altra parte, il cyber-bullismo è oggi la punta in vista di un iceberg ben più velenoso. Revenge porn contro ragazze e ragazzi minori, strumento contingente di pratiche estorsive ormai ricondotte ad abitudine, sgabello propedeutico a pratiche commerciali abusive che mappano ogni presunta preferenza nel consumo dell'utente minore d'età fino alla realizzazione di truffe di scala. Anche su questo,  non vivere sulle nuvole ma confrontarsi umilmente e serratamente coi fenomeni concreti sarebbe un gran segno di buona salute del dibattito pubblico. Lo attendiamo. E con pari partecipazione attendiamo un libro bianco  su quel che da fare invece non è mai stato fatto. 

*Docente dell’Università Magna Græcia di Catanzaro

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