di FRANCO CIMINO
Evviva evviva, la Chiesa di Catanzaro è in festa! Finalmente, dopo la notte lunga di lacerante dolore, non ancora passata, è arrivato un significativo squarcio di luce. È scesa dal Cielo, anche attraverso quell’interruttore acceso a Roma con il decreto di Papa Francesco, che ha proclamato Beate due donne del catanzarese, Maria Antonia Samà, la monachella di Serra San Bruno, nata e sempre vissuta nella sua celletta del dolore di Sant’Andrea dello Ionio, e Gaetana Tolomeo, detta Nuccia, nata e vissuta per tutta la sua ancor giovane vita nella modesta casa del dolore, a Catanzaro.
Due donne semplici, due donne comuni, umilissime anche nella condizione sociali originarie, vissute a due passi l’una dall’altra. A due passi di tempo( Antonia nata nel 1885 e vissuta fino al 1953, Nuccia, nata nel 1936 e vissuta fino al 1997). A due passi di spazio( Catanzaro e Sant’Andrea distano tra loro soltanto trentadue chilometri o poco più). Appartengono alla stessa Diocesi alla quale consegnano un dato storico, essere le prime beatificazioni nella storia di questa articolata realtà ecclesiale. Un fatto straordinario che presto potrebbe arricchirsi di un altro beato, il medico catanzarese Raffaele Gentile.
Sgombero subito il campo di un elemento che potrebbe disturbare taluni, in Vaticano pure presenti, e anche questa giornata così bella: questi tre risultati ( non si dimentichi anche il quarto, da poche settimane proposto nella cattedrale di Squillace, l’elevazione agli altari di Cassiodoro)recano totalmente la fatica e l’intelligenza operosa, quasi “ creativa” , di mons Vincenzo Bertolone e di quel grandissimo religioso, padre Pasquale Pitari, che ha fatto, su delega piena dell’Arcivescovo, una fatica enorme affinché la chiesa locale raggiungesse questo risultato. Si fosse in ambito sportivo, si direbbe trionfalisticamente di record. E che record! Primi beati nella storia diocesana, due in contemporanea, altri due sul breve corridoio che porta all’altare.
C’è tutto e di più per fare esultare un’intera Città. Per farle fare almeno un po’ di quelle feste pubbliche che in passato ha fatto per il “rosso piccante”, per il Giro d’Italia, per il concerto di Vasco Rossi, per i festival del cinema e per le numerose, alcune inflazionate, cittadinanze onorarie. E vabbè che, come ho sottolineato in altre occasioni, si vuole fare di Catanzaro la città più laica e illuminista d’Europa, ma esagerare non conviene neppure a questa “ nobilissima ambizione”. In Basilica, ai lati dell’altare, c’erano i carabinieri in alta uniforme, mancavano gli omologhi della Polizia municipale. Al primo banco, riservato alle istituzioni, c’erano, fieri, composti ed eleganti, i vertici della Guardia di Finanza, dei Carabinieri, della Polizia con il Questore, e il Prefetto. Nessun’altra autorità, né in rappresentanza del Parlamento, né della Regione. E dire che Catanzaro ne annovera parecchi. Ma, fatto più incredibile davvero, è che mancasse il Comune, peraltro capoluogo della Calabria. In seconda fila spiccava una fascia tricolore che lasciava ben sperare almeno in una delega. Era il sindaco di Sant’Andrea, che io francamente avrei fatto accomodare avanti. Di altro non si vedeva neppure l’ombra. Del sindaco, del vicesindaco, di un assessore, del presidente del Consiglio, di un consigliere comunale. Incredibile, ingiustificabile, imbarazzante. Offensivo. Dell’intera Città e del suo prestigio, del suo storico senso dell’ospitalità( riceveva un Cardinale di alto rango, addirittura il prefetto della Congregazione dei Santi, l’eminenza Marcello Semeraro). Santa campagna elettorale e santissimo bisogno( ci scusino i santi) di raccattare voti a destra, in mezzo e a manca, ma la Città, l’istituzione, la Politica, il senso di responsabilità e quello civico, quando, oltre che nelle normali attività pubbliche, troveranno spazio qui da noi, e in Calabria? Ripeto, quando? Un nuovo senso di frustrazione ha colto i catanzaresi. Specialmente, i tantissimi che orgogliosi sono stati davanti alla diretta televisiva.
Orgogliosi di dirsi catanzaresi e calabresi nel constatare, a prescindere dall’incommensurabile riconoscimento odierno alle due beate, che due umilissime donne hanno saputo servire non soltanto il loro Dio( per me, il nostro) ma l’intera comunità di appartenenza. Due semplici donne che dalla prigione del loro letto, da cui non sono mai scese neppure per andare in chiesa, hanno dimostrato quanto sia estesa la grandezza umana. E come sia semplice la santità quando “ tra la sofferenza e la Perfezione si dispone l’Amore”. Quel sentimento che per i credenti unisce l’uomo a Dio, attraverso il servizio agli altri. Ai sofferenti e ai bisognosi, in particolare.
E, per tutti, laici e non credenti, l’uomo agli altri uomini e, insieme, alla Natura, attraverso il totale donarsi, e gratuitamente, per il bene comune, all’interno del quale opera sicura la tutela dei beni comuni. Per questo la Politica è il tempio, la chiesa aconfessionale, della santità laica, facilmente raggiungibile attraverso la “più alta forma di carità”. Che è il vivere per la felicità della persona, la sicurezza del popolo. A partire dai suoi habita più piccoli, la regione di appartenenza e la propria città. Essere dei bravi politici, onesti e generosi, sinceri, oppure tutti fattori del proprio dovere, significa essere santi. Ovvero, semplicemente dei buoni cittadini, che assolvono con onore al compito affidatogli. Dal popolo e dalla propria coscienza.
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