“La Calabria, carta canta!, ritiene che il welfare sia un costo inutile e non un investimento e un obbligo per la Repubblica. Infatti, utilizza una percentuale di spesa sociale di gran lunga inferiore alla media nazionale. Il che è sconcertante, perché qui si registra la più alta incidenza della povertà relativa con il 35,3% della popolazione a fronte di una media nazionale del 12,3%. Il 23% della popolazione residente è titolare di un reddito da pensione e circa l’11% (207mila persone) di una qualche pensione di disabilità. Quasi 300mila calabresi sono ultra settantenni (15,3%) mentre appena il 5% della popolazione ha una età fino a 5 anni. Inoltre circa 7.500 alunni calabresi fanno registrare una qualche forma di disabilità che necessita di forme di assistenza”.
E’ quanto afferma Francesco Pitaro, candidato al Consiglio regionale con “Io resto in Calabria” - Pippo Callipo presidente nella circoscrizione centro.
Aggiunge: “A grandi linee è questo il quadro che necessita di un sistema di interventi sociali all’altezza, destinati, come dice la norma ‘a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia’. Purtroppo, quindici anni (2004-2018) sono sufficienti per individuare la tendenza oramai stabilizzata che mette la regione ai margini del settore rispetto agli standard medi nazionali e la priva di un abbozzo di welfare di comunità, considerato che sei comuni su dieci di fatto non registrano spese per le politiche sociali o hanno livelli talmente bassi da non avere la presenza di servizi strutturati e continui”. Ancora Pitaro: “L’altra peculiarità consiste nella composizione della spesa, particolarmente dipendente dai trasferimenti correnti e poco attenta ai servizi puntuali quali quelli per l’infanzia. L’assenza di un disegno organico da parte della Regione si rileva anche dal fatto che ci troviamo di fronte ad una spesa molto fluttuante a seconda degli anni (al contrario di quella media italiana) che dimostra la dipendenza del settore dai trasferimenti correnti con servizi avviati in funzione di quanto ottenuto e non già in base ad una programmazione ottenuta dalla lettura dei bisogni. Ciò incide notevolmente sulla possibilità di offrire uno stabile sistema di servizi sociali ai cittadini. I comuni calabresi, tra 2004 e 2018 hanno speso il 5% circa del totale della spesa corrente in spesa sociale a fronte di un dato medio italiano del 14% circa. Ma è la particolarità della spesa - sottolinea Pitaro - che più salta agli occhi. Che destina ai servizi per l’infanzia appena il 6 circa contro il 24% della media italiana. In realtà la maggior parte della spesa sociale è indirizzata verso l’assistenza, la beneficenza pubblica (in gran parte trasferimenti monetari) che assorbono in Calabria l’82% dell’intera spesa contro la media nazionale del 29%. Alcuni settori, vista l’incapacità pubblica di organizzare sistemi efficienti, sono ormai quasi completamente privatizzati, ad esempio quelli dei servizi all’infanzia e dell’assistenza domiciliare agli anziani, a dimostrazione che esiste una domanda che ha trovato nel privato sociale una risposta autonoma di cui è però difficile misurare la qualità”.
Infine: “Dinanzi ad un settore delicato e tanto trascurato, dobbiamo non certo arrenderci alle circostanze e continuare ad avere uno dei peggiori welfare, ma dobbiamo porre al centro dell’agenda politica il tema del welfare municipale e regionale per ridare sostanza alla voce dei diritti e della giustizia sociale che appare nella nostra regione, debole come non mai. Quindi avviarci finalmente, nel solco della norma, verso un welfare che veda gli enti locali protagonisti della costruzione di un solido e duraturo sistema di servizi capace di offrire alla comunità un sistema pubblico funzionante, efficace e universale”.
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