Regionalismo differenziato, ecco cosa potrebbe strozzare il Sud

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regionalismo sidderenziato

  15 luglio 2019 17:00

di ENZO COSENTINO

"RIFLESSIONI SUL REGIONALISMO DIFFERENZIATO"

La gente del Sud apre gli occhi sulle tematiche emergenti che riguardano da vicino il destino delle rispettive regioni sempre più messe all’angolo. Ma non è mai abbastanza il dibattito che scaturisce dalla base e del quale la classe politica di casa nostra deve prendere atto e non far finta di niente. Ecco perché insistiamo sul regionalismo differenziato con la serenità di un ragionamento che prescinde dalle tentazioni colorate e folkloristiche delle varie posizioni politiche in campo. Vi tediamo, forse, ma sottoponiamo egualmente alla attenzione di chi segue lo sviluppo del tema regionalismo una riflessione scaturita anche dalla lettura di documenti chiesti ed avuti in visione (e per questo un ringraziamento) dopo un recente forum organizzato dal Movimento “Officine del Sud”. Nella certezza che dalla loro lettura il dibattito si ampli con una visione aperta e complessiva sulla problematica.

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Il banco del governo è saltato, almeno momentaneamente, sulla richiesta di autonomia delle regioni Lombardia, Veneto e Emilia Romagna perché finalmente si sono scoperti i pre-accordi firmati tra Governo e regioni interessate, finora mantenuti segreti per non suscitare tutte quelle perplessità e riflessioni che in ogni caso si sono sollevate perché alcuni presupposti che si intravedevano lasciavano presagire ad una vera e propria secessione mascherata. Oggi si ha avuto contezza che stava per essere stilato un disegno di legge, da portare alla camere per l’approvazione senza la possibilità di essere emendato, i cui contenuti avrebbero decretato la fine del Mezzogiorno d’Italia.

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Sorvolo sulla genesi storica che ha portato alle marcate asimmetrie tra regioni del nord e del sud, meglio conosciuta come “questione meridionale”, per non dover partire dall’Unità d’Italia e per non fare un processo al passato sulle annose ed accertate questioni che hanno fortemente penalizzato il Sud che non solo non ha avuto mai giustizia ma è diventato un sinonimo di assistenzialismo d’accatto.

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 Oggi però bisogna essere concreti e risoluti per evitare che il tema delle autonomie non porti ad una secessione mascherata perché, per chi ancora non lo avesse capito, le ragioni di fondo che stanno dietro a quello che viene definito regionalismo differenziato sono solo di tipo finanziario. Ragione per la quale le regioni più povere rischiano di diventare sempre più povere a discapito delle regioni più ricche soprattutto alla luce delle motivazioni che la Ministra Stefani ha addotto e cioè che non ci sarà nessun tipo di problematica e di effetto svantaggioso nei confronti delle altre regioni con il riconoscimento dell’autonomia alle regioni che hanno già fatto richiesta, perché:

  1. "L’attribuzione delle competenze verrà fatta sulla base di quello che è il costo storico" (cioè quanto attualmente lo Stato sostiene per il funzionamento delle regioni per le materie di cui si chiede l’autonomia). Già di per se per noi sarebbe una situazione svantaggiosa perché solo per il comparto sanità, per come sono i riparti dal 2011, la Calabria parte con un handicap di 280 milioni annui rispetto alle regioni del nord per i criteri di riparto capestro definiti all’epoca dal governo Monti. Cosi come, ad oggi, le risorse ordinarie della P.A. centrale destinate al Mezzogiorno sono di poco superiori al 28% a fronte del 34.4% della popolazione mentre al Centro nord sono del 71.6% contro il 65.6% della popolazione. Non sappiamo perché, nonostante esista una legge, non è ancora avvenuto questo riequilibrio territoriale.
  2. Ha continuato la Ministra Stefani: "vi sarà poi un momento di superamento (dell’attribuzione del costo storico) che arriverà appena definiti i costi standard (si stima entro tre anni) e i fabbisogni standard che si applicheranno su tutto lo Stato". Anche questo è uno specchietto per le allodole perché i costi standard ed i fabbisogni standard sono quasi tutti già definiti in materia sanitaria ma non negli altri settori, in attuazione alla legge 42 del federalismo fiscale (legge Calderoli). Per fare un esempio, in sanità già si applicano alle gare di appalto tramite la Consip e con il mercato elettronico della P.A. si hanno gli stessi costi a Catanzaro come a Milano. Così come i fabbisogni standard in sanità sono già definiti dai livelli essenziali di assistenza (LEA) ma questo vuol dire poco perché, per arrivare agli standard delle regioni del Nord, considerato i gap strutturali e di personale del comparto sanitario ci vorranno decenni. Quanti anni ancora poi ci vorranno per definire i livelli essenziali (non tanto di assistenza perché ormai chiari) delle prestazioni sociali e civili (i cosidetti Lep) da garantire in modo omogeneo a tutti i cittadini italiani per come previsto dall’art. 119 Costituzione, in altre parole definire i valori di una prestazione affinché possa considerarsi resa nel rispetto di eguaglianza e di efficacia su tutto il territorio nazionale. E quindi settori come l’istruzione e la sanità saranno messi nelle condizioni di poter competere con le regioni che partono con almeno 20 anni di differenza in termini di requisiti strutturali, organizzativi e professionali rispetto alle regioni del Sud. Cosa cambia pagare la siringa allo stesso costo se poi hai ospedali fatiscenti, dove non funzionano nemmeno gli ascensori, non hai assistenza territoriale, non hai specialisti. Altrettanto l’istruzione rischierebbe di essere ancor di più penalizzata, se dimensionata agli attuali livelli di prestazioni, mentre il nord potrebbe applicare norme differenti in materia di istruzione e formazione aumentando cosi il divario di preparazione che già oggi si riscontra nella comparazione tra gli atenei del nord e quelli del sud. Ciò significa che per scuola, sanità e per le altre materie per cui si chiede l’autonomia il fabbisogno sia maggiore dove si produce più Pil. Come dire che un ricco abbia più bisogno d’istruzione ed assistenza rispetto ad un povero, che una scuola di Milano, a parità di studenti, abbia più fondi di una scuola di Catanzaro, che un cittadino di Venezia abbia più tutela sanitaria rispetto ad uno di Reggio Calabria.
  3. Pertanto, il Governo dovrebbe attuare la Costituzione anche per come mutata nel 2001, con la modifica del titolo V, stabilendo finalmente dopo 18 anni i livelli essenziali delle prestazioni, determinando la perequazione al 100% e non al 45,8% e non basandola sulla spesa storica come è stato fatto, il tutto a gran discapito dei territori a minor gettito fiscale e quindi assegnando zero fabbisogni dove ci sono zero servizi. Quindi riteniamo che il tema fondamentale della questione che stiamo discutendo è dato dai criteri utilizzati per calcolare i fabbisogni ed assegnare le risorse. Quali saranno? Nel silenzio più assoluto dell’attuale governo possiamo rifarci all’accordo preliminare del febbraio 2018 tra regione Veneto e Governo Gentiloni nel quale è stato previsto che, per i fabbisogni standard, si deve far riferimento, oltre alla popolazione, al “gettito dei tributi maturato nel territorio regionale”.

 D'altronde non ne fanno nemmeno mistero i Governatori delle Regioni del Nord, come il  presidente Zaia che ha dichiarato come il regionalismo differenziato “vale come una riforma costituzionale” aggiungendo quasi come un avvertimento che su tale riforma il Veneto è indisponibile ad una misura, sue testuale parole:  “annacquata”. Ma se allora si deve intendere come una riforma costituzionale come si può accettare che una riforma simile sia decisa da uno, due ministri e tre regioni. Come si può pensare che una riforma del genere sia fatta senza le cautele che la stessa Costituzione impone?

Ed in materia sanitaria il ministro Grillo dovrebbe rispondere ad alcune domande scaturenti dalle affermazioni dalla stessa rilasciate in più occasioni, ad esempio:

  1. Cosa significa che le tre regioni che chiedono il regionalismo differenziato possono “superare il blocco delle assunzioni”, e le altre cosa faranno?
  2. Cosa vuol dire “concedere maggiori spazi di manovra nell’ambito dell’organizzazione sanitaria?” Cioè quali possibilità e quali limiti? Senza venir meno ad un dovere di universalità?
  3. Cosa vuol dire dare al Veneto 80 milioni di euro assicurandogli l’8% del miliardo di euro dedicato al fondo nazionale per l’edilizia sanitaria?
  4. I contratti resteranno nazionali?
  5. Le norme sulla formazione e sui profili professionali resteranno nazionali?
  6. Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) resta un SSN o una somma di servizi sanitari regionali?
  7. Quando un cittadino del sud si ammala come farà a curarsi anche se gode del reddito di cittadinanza?

 La Calabria dovrebbe rifuggire da quelle forme di assistenzialismo fine a se stesso, anzi dovrebbe puntare al più ampio decentramento amministrativo dei servizi che dipendono dallo Stato, riconoscendo il valore delle autonomie locali a condizione però che ci sia l’unità giuridica e l’unità economica e quindi la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civile e sociali che devono prescindere dai confini territoriali o dai governi locali.

La Calabria, pertanto, potrebbe accettare la sfida promuovendo l’autonomia differenziata per alcune materia dove si ritiene di poter aumentare l’efficacia e l’efficienza nell’uso delle risorse, senza però intaccare il requisito di solidarietà nazionale, concetto che apre il discorso sulla perequazione, al fine di poter competere poi con le altre regioni. Quante dovrebbero essere queste risorse e chi e come lo stabilisce? Qui si apre un altro tema in materia di residuo fiscale in quanto le regioni del nord si calcolano il saldo tra entrate e spese pubbliche omettendo di includere in questa voce la componente di spesa più rilevante negli ultimi 20 anni e cioè la quota di interessi da corrispondere ai titolari del debito pubblico. Questa è una posta contabile che rappresenta una spesa per lo Stato per cui il saldo da considerare deve tener conto di questa voce che porterebbe la richiesta della Lombardia da 40 miliardi a circa 13 miliardi, cosi come per il Veneto e l’Emilia Romagna che hanno chiesto sui 13 miliardi il residuo fiscale sarebbe di circa 2 miliardi (dati rapporto SVIMEZ 2018).

Dubbi oggi confermati dalla Ragioneria dello Stato che non ha accordato il placet all’accordo tra Governo e regioni del Nord che hanno richiesto l’Autonomia.

Non vorremmo che alla fine le regioni del sud paghino anche la parte di interessi del debito pubblico delle regioni del nord mentre loro si incassano la quota fiscale che producono nelle loro regioni.

In altre parole dovrebbe essere mantenuta l’unità giuridica ed economica attraverso il conferimento delle relative risorse finanziarie permettendo cosi di fare una battaglia di civiltà ed accettare la sfida del nuovo federalismo, perché si deve cancellare l’immagine del sud che si lamenta, inconcludente, clientelare e che non sa amministrare.

 

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