di Bruno Gualtieri*
Sui giornali calabresi abbondano, in questi mesi, articoli e dichiarazioni preoccupate dei Sindaci sul caro-TARI. Preoccupazioni più che legittime. Ma è arrivato il momento di raccontare ai cittadini perché la tariffa sui rifiuti aumenta e chi ha interesse a mantenerla alta. Perché no, non è sfortuna cosmica o inflazione galoppante. È il frutto di scelte ben precise. O, peggio ancora, di non-scelte calcolate.
Vi ricordate i cumuli di rifiuti per le strade calabresi nella primavera del 2022? Sembrava l'ennesima estate rovinata. Eppure, con un po' di volontà e tanto lavoro, la situazione è stata risolta in pochi mesi. Da allora il sistema ha retto e le "emergenze" si sono dissolte. È bastato così poco? La risposta è sì. Una riforma voluta dal Presidente Occhiuto ha segnato la svolta, supportata dal lavoro silenzioso di chi ha agito guardando solo all'interesse pubblico. Giorni e notti a sistemare ciò che per anni era stato lasciato marcire. Altro che "emergenza": era strategia.
Facciamo un esempio concreto. Un impianto pubblico per il trattamento dei rifiuti, finanziato con fondi europei – che spesso non riusciamo nemmeno a spendere. Se l'impianto si realizza, il costo di trattamento si riduce drasticamente. Perché? Il pubblico, a differenza del privato, non deve scaricare il peso dell'investimento sui cittadini. Niente profitti da garantire, niente business da proteggere. Solo servizio. Ed è proprio questo il problema: servire i cittadini non conviene a tutti.
C'è poi la questione del monopolio. Quando il pubblico non ha impianti, chi ce li ha – i privati – detta le regole: stabilisce i prezzi e gli altri devono solo pagare. Un monopolio coltivato con cura, bloccando sistematicamente ogni tentativo pubblico di entrare in campo. La domanda nasce spontanea: perché non si fanno gli impianti pubblici? Risposta: perché da decenni il sistema calabrese non lavora per i cittadini, ma per chi vuole approfittarsene. È una vera e propria filiera del freno: ogni volta che si tenta di fare ordine, scatta il sabotaggio.
Durante il mio incarico in ARRICAL, ho provato a rompere questo schema con quattro iniziative concrete, tutte nella stessa direzione: ridurre la spesa pubblica, spezzare il monopolio, abbassare la TARI.
Perché? Il Piano Regionale dei Rifiuti è stato approvato in Consiglio Regionale a marzo 2024 (propedeutico all'approvazione del Piano d'Ambito), ma l'Assemblea di ARRICAL da ottobre 2024 ha preferito dedicarsi ai PEF comunali, balbettando su questioni ben più strategiche. Intanto i cittadini continuano a pagare.
Si dirà: "ci vogliono competenze". Vero. Ma allora perché ARRICAL non si dota di una struttura tecnica autonoma, competente, capace di operare nell'interesse dei cittadini e contribuire concretamente alla riduzione della TARI? Oggi, invece, l'Assemblea appare paralizzata, ostaggio di una burocrazia autoreferenziale e delle solite logiche di palazzo. I Sindaci, anziché essere sostenuti e orientati, vengono lasciati soli, disorientati da finte verità ambientali e dossier confezionati ad arte da chi ha tutto l'interesse a coprire storture e malaffare. E così, chi prova a cambiare le cose viene sistematicamente isolato.
Il sistema attuale costa 125 milioni l'anno, quello pubblico ne costerebbe 95. La differenza? 30 milioni che finiscono chissà dove, invece che nelle tasche dei cittadini. Non è questione di ideologia, ma di matematica. E di onestà. Importo che consentirebbe di azzerare tutti i debiti storici dei Comuni sui rifiuti in circa 3 anni. Invece, continuiamo a pagare di più, per avere meno.
E allora la vera domanda è: a chi conviene davvero che tutto resti così com'è? Non sarà che – tra una TARI che sale e un impianto che non si fa – c'è chi ci mangia sopra?
Ai posteri, e ai contribuenti, l'ardua sentenza.
(*) Già Commissario Straordinario dell'Autorità Rifiuti e Risorse Idriche della Calabria (ARRICAL)
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