Riflessione di Franco Cimino: "Calabria al voto nella democrazia sospesa"

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images Riflessione di Franco Cimino: "Calabria al voto nella democrazia sospesa"
Franco Cimino
  31 agosto 2021 20:37


di FRANCO CIMINO

Ma di cosa ha bisogno la Calabria, oltre che dei Canadair per spegnere gli incendi che noi appicchiamo, delle ruspe per liberare le strade e i paesi dei costoni di montagna che su di essi facciamo cadere, di depuratori che ripuliscano le acque che noi inquiniamo? Di cos’altro necessita oltre che di linee ferroviarie dignitose e di strade non assassine? Di cosa ha più urgenza oltre alle scuole “ buone”, alle sue tre Università che si parlino, agli intellettuali che pensino, ai preti fuori dalle parrocchie che lottino, ai poeti fuori dalle loro poesie che combattano, agli scrittori che invece di scrivere di se stessi scrivano dei nuovi dolori di questa terra? Di cosa più ancora sente l’esigenza più cogente, oltre a imprenditori che creino risorse proprie e non consumino quelle pubbliche, che costruiscano opifici e lavoro veri e non cadenti e umilianti? Di cosa più preme sull’occorrenza oltre che una Giustizia praticata, al di là della Giurisdizione, nella cultura del bello e del giusto e del senso delle istituzioni e delle comunità in esse rappresentate?

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Qui mi fermo con l’elenco della domande. E dico: ha bisogno della Politica, scritta sempre con la maiuscola. Ma cos’è davvero la Politica al di là delle tante definizioni, molte delle quali io stesso ho inventato pur di cancellare quella vecchia che la vorrebbe solo quale arte( sic!) del possibile o luogo del compromesso? La Politica è la sede privilegiata dell’autonomia.

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Quell’autonomia che tutte le autonomie riconosce, difende e garantisce, senza mai diventare indipendenza, distanza, allontanamento e isolamento da altro se non dalle mafie e dal malaffare. È autonoma ma non indipendente dalle istituzioni, dalle culture politiche e dalle idealità che la ispira. È autonoma, ma non lontana dalla gente da cui prende la capacità d’azione. È autonoma, ma non distante dalla morale, che ne guida i comportamenti. È autonoma, specialmente rispetto agli organi che amministrano la giustizia, ma non è distante dalla Giustizia, come naturale tendenza al giusto, che è anche il bello e il buono, che essa invece, da se stessa, è obbligata a ricercare, sempre. La Politica è autonoma, ma non lontana da ciò che è pratica del fare e dagli interessi che pure è chiamata a gestire. È autonoma, ma non dal dovere di costruire sempre nuova classe dirigente, quella buona, bella, sana e giusta, motore della democrazia.

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La Politica in Calabria è in crisi(infatti si scrive in minuscolo)perché è il contrario di tutto questo. Siccome lo è progressivamente da tanti anni, la crisi ha prodotto il danno più grave che la nostra terra abbia mai potuto subire, dai tempi delle dominazioni, sotto mentite spoglie ancora attive. É lo svuotamento delle coscienze individuali, il blocco di quella collettiva.

È la totale assenza di partecipazione ai processi decisionali da parte della gente fin troppo trattenuta nello condizione di una nuova ignoranza. È la pressoché invisibilità dei luoghi della decisione, se ve ne fossero qui, o la mancanza della decisione stessa. Il danno è l’assenza del filo resistente, che nella Politica lega capacità individuale e bisogni, interessi e fini, governo e progetto, ambizioni e sogni, proprietà delle persone e ricchezza generale, natura e cultura, uomo e ambiente, la terra e l’acqua. Il danno, quindi, è il vuoto di democrazia, che, come sottilissimo velo di ghiaccio, si trova sotto i piedi dei calabresi, che, forse per l’istintuale paura di precipitarvi, sono più immobili di prima. La rassegnazione, pertanto, che sembra averci colto, è peggiore di quella di sempre, quando si attribuiva al “destino” la responsabilità della nostra condizione. Oggi non ci muoviamo solo per paura di finire, avendo perso pure quell’istinto antropologico verso un qualcuno che ci venga salvare. Della Calabria non importa niente a nessuno. Neppure ai calabresi stessi.

I quali non credono neanche in una sorta di palingenesi delle urne. Da una ventina d’anni l’affluenza elettorale è sempre più scarsa. È un fenomeno, questo, che si è voluto colpevolmente sottovalutare. Chi per ignoranza, chi per insensibilità verso i meccanismi democratici, chi per interesse e uso strumentale degli stessi, ha lasciato che il comportamento sociale verso il voto ruotasse intorno al più vecchio e becero potere. Potere piccolo per le nostre piccole cose, evidentemente. Si prenda in considerazione l’ultima tornata elettorale, quella che“ avrebbe” scelto la prima donna presidente della regione. I calabresi elettori si sono divisi in due parti, quella volta non di eguale ampiezza. Quasi il sessanta per cento ha disertato le urne, poco più del quaranta ha invece votato. I primi, la maggioranza democratica, per indignarsi contro la maggioranza di potere, ha lasciato che una minoranza per il potere si scegliesse con meno del trenta per cento dei calabresi i governanti. I primi hanno rinunciato a votare, i secondi hanno votato alla stessa maniera. Quella di sempre.

Vota cioè“ l’amico, i “ benefattore” dei propri interessi, il promittente ogni cosa. Non gli importa dove si candidi, cosa studi, cosa abbia di onesto fatto nella vita, cosa pensi e quale coraggio abbia nel sostenere ciò che sente e pensa. Cosa, soprattutto, conosca della Calabria e dei suoi problemi. E cosa abbia fatto prima per difenderla dai ladri della sua bellezza. In questa logica la democrazia si annulla, i poteri nel vuoto avanzano. Specialmente quelli che nell’oscurità si muovono e con la minaccia della forza fisica agiscono. L’alternanza tra le forze per il governo, elemento essenziale della dialettica democratica, in assenza costante della opposizione, è-favorita dal trasformismo- diventata ormai il rituale cambio di uomini identici nella gestione della cosa pubblica. Una semplice alternanza di postazioni, non un’alternativa nei confronti del potere. Questa è ciò che rappresenta il passaggio elettorale.

Un momento nel quale sempre meno-complice una legge elettorale truffaldina- contano i candidati presidenti, che dopo il voto, paradossalmente, comandano da monarchi assoluti. Contano invece soltanto i seicento e più candidati al Consiglio regionale, che, come animali famelici, per mesi mordono le carni degli elettori e i bisogni drammatici dei loro figli.

Lo spettacolo indecoroso, cui abbiamo assistito in queste settimane, ne è la prova più lampante nella prepotenza impropria di scoraggiare tante possibili buone candidature, il ritorno della fiducia nelle istituzioni. E nella piena bellezza delle elezioni e del proprio voto personale, il vero potere che i calabresi non vogliono utilizzare. Neppure come lezione morale.

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