Riflessione di Franco Cimino su "Questo venerdì santo così diverso e dolente e quella croce ancora ferma"

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on whatsapp
images Riflessione di Franco Cimino su "Questo venerdì santo così diverso e dolente e quella croce ancora ferma"
Franco Cimino
  02 aprile 2021 21:22

di FRANCO CIMINO

Oggi è un Venerdì Santo diverso da quelli passati. Diverso anche da quello del 2020, quando Chiese e strade erano vuote di anime e di cose, e i balconi e le finestre rappresentavano l’unico affaccio sulla realtà. Quel Venerdì d’aria umida e freddo dell’inverno che ancora resisteva, con quella pioggia che lo bagnava come pianto del cielo per la triste sorte degli uomini troppo distratti sui beni che davvero valgono e che avevano troppo maltrattati. A ricordarcelo fu un Papa stanco e preoccupato, che nella Via Crucis solitaria di una bagnata piazza San Pietro deserta, disse parole così dolenti è così cariche di speranza da restarti appiccicate sulla pelle. Ne ricordo a memoria la sintesi e la sostanza.

Banner

L’Umanità senza nome e dimentica della sua storia, ha corso affannosamente verso una direzione sbagliata del Progresso. Quello in cui la misura dell’essere non è il benessere ma il possesso. Di ogni cosa che possa riempire, non la nostra vita, ma gli spazi in cui ci muoviamo e i nostri vuoti fisici. Da quelli corporei( tanto cibo e tanto vino)a quelli urbani( tante case e palazzi e “ macchine”). Abbiamo creato la falsa civiltà del riempimento, da strariempire perfino le strade dei rifiuti che le discariche non riescono più a contenere. Montagne di rifiuti, monumenti allo spreco e al disprezzo della vita, che è anche nella natura. Quella natura che segna chiaramente i confini tra mondo animale non domesticabile e mondo umano e gli spazi inviolabili entro i quali ciascun essere vivente deve vivere senza subire violazioni di alcun genere.

Banner

Per costruire immense città super moderne l’uomo ha sottratto alla natura parte del suo habitat. Palazzi alti e fabbriche enormi hanno consumato quei luoghi e, come in una guerra armata creduta vincente, hanno preso il posto di alberi e corsi d’acqua, cacciato la fauna, riducendola nel numero o avvicinandola stupidamente a sé, in una sorta di ornamento o di utilizzo strumentale per quelle culture primitive, costrette a vivere, come periferie dimenticate, ai confini imbruttiti della modernità e della nuova civiltà metropolitana. Francesco ci insegnò, quella sera, una cosa che tutti i nostri padri naturali ci hanno detto da bambini. E, cioè, che la vita è fatta di sentimenti, di condivisione, di progetti in comune. Di solidarietà per costruire la vera ricchezza, il lavoro e la giustizia per tutti nel pieno riconoscimento della pari dignità. E ancora, mi sembra di sentire ancora le parole del mio, di padre, e di me padre alle mie figlie e di me docente ai miei ragazzi:” il bene non si trova nelle cose, il potere non nella ricerca del potere, l’autorevolezza del comando non nel predominio sulle persone, la guida di un popolo o di una comunità mai nella sottrazione delle libertà e nella negazione della Libertà, e la ricchezza non nel furto della ricchezza di tutti (la natura e il paesaggio), o di quella della persona (la fatica del lavoro, la propria creatività e il tempo liberato per la cura di sé). Il bene si trova nel donarsi agli altri, l’amicizia, o nel fare per gli altri, la Politica e gli ambiti della solidarietà sociale. E, ancora, che la tecnica è bella, come tutto ciò che l’uomo dalla intelligenza infinita infinitamente crea, se saprà restare nelle mani sensibili dell’uomo che la governi e non quando dell’uomo si impossessi confondendolo sempre più con i robot a lui rassomiglianti, in quella assurda arroganza di mettersi, l’uomo, al posto di Dio. Francesco ancora ce lo ripete, anche con la sua ultima enciclica: l’uomo è fatto di semplicità e le sue cose sono quelle semplici. È nell’essenziale che si trova l’equilibrio generale. Tra l’uomo materiale e l’uomo spirituale, tra natura e vita, tra l’uomo e il resto del creato, il creato per lui.

Banner

L’equilibrio tra economia e bisogni, tra ambizione personale e ambizione collettiva, tra scienza ed etica. Tra crescita e economica e sviluppo. Tra culture e civiltà. Tra politica e morale. In una delle mie utilmente lezioni ai miei ragazzi ho detto che dobbiamo passare dalla cultura del riempimento a quello dello svuotamento. Dallo stomaco degli individui( un terzo della popolazione mondiale mangia troppo mentre i due terzi neppure quel poco necessario) alle città invase da ferro e cemento, dai magazzini degli armamenti ai forzieri delle banche, comprese quelle invisibili che spadroneggiano sulle crisi economiche degli Stati e sui fallimenti dei Paesi. Riempire i granai e le condotte, da allungare su tutta la superficie del pianeta, di acqua potabile, dare pane e lavoro, una casa e una terra in cui vivere, a tutti gli uomini della terra, è questa la grande lezione che ci viene da questa drammatica emergenza sanitaria. E da questa guerra, che comunque si voglia considerare il virus mortale e diffusivo, dalla natura affaticata viene portata agli uomini, che non l’hanno saputo amare al punto che per farle un dispetto preventivo si sono odiati e fatti la guerra tra di loro. Per l’abitudine che abbiamo fatto alla morte, stiamo dimenticando quella che da un anno esatto si sta occupando di noi, prendendosi, solo in Italia, centodiecimila persone della nostra “migliore gioventù”.

Questo Venerdì Santo è diverso dal precedente. In quello passato avevamo paura, lo Stato ci appariva come un padre rassicurante, e tutti i nostri concittadini li sentivamo nostri fratelli, appartenenti alla stessa unica famiglia italiana. Dai balconi, in questo stesso giorno, si pregava e ci si abbracciava idealmente con tutti. Il dolore per l’altro prevaleva anche sulla paura per noi. “ Da questa pandemia non ci si salva da soli, ma tutti insieme.” Sono le parole di Francesco. Risuonavano ancora alle nostre orecchie. Ma come una canzone vecchia è stonata ormai. Già da mesi siamo tornati quelli di prima, gente divisa in tutto con le parti politiche a fare da alimentatore di egoismi e divisioni, di corporativismi e contrapposti interessi. Anche lo spirito di nazione, tanto decantato nelle settimane della paura e dell’ignoto, si è disperso in quello del mancato umanitarismo del mondo globale e non globalizzato. Complice di questo ritorno all’egoismo è paradossalmente la medicina che ci dovrebbe salvare dal Covid, il vaccino. La nuova guerra per accaparrarselo tra gli Stati prima, le regioni poi, in ultimo tra categorie e classi sociali, per non dire delle singole persone, è il triste segnale che non siamo cambiati affatto. Il triste presagio che cambieremo in peggio.

Questo Venerdì Santo è pieno del dolore che si ferma davanti alla Croce e a quell’uomo figlio di Dio morto non solo per noi, per la nostra salvezza, ma a causa di noi, della nostra cecità nei confronti del Bene. Lasciamoci così questa sera. Come se il tempo dovesse finire il venerdì. Ci aiuterà a capire che spetta agli esseri umani, questa volta, risorgere da una umanità che loro stessi hanno negato. La Pasqua del Cristianesimo sia il passaggio, anche laicamente inteso, di tutti gli uomini che vorranno costruire un mondo nuovo. Quello della vera fratellanza umana. Solo così a questo venerdì seguirà la domenica della vita. E, finalmente, tutti potremo uscire per le strade. Per cantare e vivere e ballare. Per abbracciarci. E non solo per consumare. E per comprare cose. E tante, come feticcio di una falsa libertà.

Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner