di FRANCO CIMINO
Ieri è morto, colpito dalle schegge di una ordigno, un bambino di diciotto mesi. Le immagini televisive ci hanno fatto vedere l’ingresso agitatissimo in ospedale di un padre e di una madre con un bimbo in braccio. Benché coperto dalla maschera d’ossigeno, ne abbiamo scorto un po’ il suo visino. Tutti, prima delle lacrime che ci hanno velato gli occhi, abbiamo visto in quel volto di bambino quello dei nostri figli a quell’età. Sono tutti uguali i bambini del mondo. Tutti si rassomigliano davvero. E non è la nostra emozione a “ rassomigliarli”. È la natura, o Dio, che li ha fatti tali, per costringere gli adulti a concepire i bambini, di ogni tempo e di ogni spazio, quali figli propri. Per dir loro, in ogni situazione di violenza, dalla pedofilia alle guerre diverse, che i bambini non si toccano.
Purtroppo, non è così, la Voce è rimasta inascoltata. Il monito non ci ha cambiati, questa lezione non ci ha educati. I bambini sono dappertutto i bersagli preferiti delle guerre, le vittime più gradite dalla ferocia della bestia che ciclicamente rinasce nel corpo umano. Le carestie, le povertà estreme, una delle guerre diverse, fanno soffrire di terrore e di fame i bambini e a migliaia ogni giorno li uccide. La guerra “belliggerata” sceglie i bambini come vittime sacrificali e come corpicini di ricatto politico- militare, come ingiunzione alla resa dei paesi aggrediti, e dei popoli indifesi. Come sta accadendo in quest’ultima feroce guerra che la Russia ha mosso contro l’Ucraina, mentre la diplomazia internazionale per almeno un anno ha fatto assai poco per evitarla. Un tema, questo, finora silenziato dalla propaganda filo “ democrazia ed autonomia delle nazioni libere” , ma che non più tardi del prossimo massacro dovrà essere presa fortemente in considerazione dalla pubblica opinione mondiale. Ma torniamo al bambino ucraino. Si chiamava Kirin. Diciotto mesi. Noi li conosciamo i bambini di questa età. L’età più “ vivace” per loro caratterizzata dalla maggiore velocità della crescita. Iniziano a camminare, a prendere gli oggetti e a manipolarli, le manine come strumento di conoscenza delle cose e del rapporto tra la l’evoluzione della mente e la realtà, tra sensibilità corporea e piacere fisico.
Diciotto mesi sono l’età del rafforzamento del legame con le figure affettive di riferimento, i due genitori, la madre in particolare. Sono l’età in cui quel “ ba ba pa p” e “ma ma ma”, ritmo bellissimo ondeggiante tra il dolce balbettio e il canto, si trasforma nelle due parole più belle che un individuo pronuncerà nel corso della vita. Le conosciamo bene, noi, vero? Certamente, non le ricordiamo di noi a quell’età, nessuno potrebbe ricordarle. Ma come dimenticare i nostri figli quando l’hanno pronunciata la prima volta? Un suono che ci rimane impresso. Nel cuore. Per tutta la vita. “Papà. Mamma.” Non lo ricordiamo? L’abbiamo scordato? No, che non l’abbiamo dimenticato. E come potremmo? “ Papà. Mamma.” Di certo, la seconda è l’ultima sulla bocca della nostra vita che finisce. Una pronuncia che si accompagna all’unisono a quella che ci è rimasta negli orecchi, la prima volta che l’abbiamo “ sentita” dai nostri figli. Per questo, l’immagine più dolorosa di oggi, più di quei palazzi in fiamme e delle strade bombardate, degli aeroporti distrutti, è quella che proviene dallo stesso ospedale in cui è finita la piccola vita. Sono un giovane uomo e una giovane donna, seduti a un angolo di un corridoio. Lui accarezza il volto di lei piegato sulle ginocchia come a volerlo soffocare o nascondere alla vita che si vorrebbe di facile ripresa. Sono i genitori di Kirin che non possono più sentirsi chiamare dal loro bambino come questi avrebbe fatto per tutta la vita. Kirin è il simbolo di tutti i bambini che muoiono nelle guerre. E quei due genitori sono il volto di tutti i genitori del mondo.
Ora che è provato che la follia degli uomini si abbatte sempre più ferocemente contro più piccoli dell’umanità, l’umanità deve compattarsi per sconfiggere la guerra. E dinanzi all’orrore dei bombardamenti e la lunga scia di morti e feriti e di gente in fuga dalla propria terra, e al fallimento delle diplomazie con i lunghi inutili tavoli di trattative inconcludenti tra parti diseguali in un conflitto squilibrato, e, ancora, dinanzi al pericolo di una inutile terza guerra mondiale( inutile perché non la vincerebbe nessuno) e alla voce inascoltata di Francesco, io penso che una sola iniziativa sia praticabile per sconfiggere la guerra e disarmare chi l’ha mossa.
È una iniziativa umana, non umanitaria. Ovvero, una cosa diversa da questa, utilizzabile solo all’interno della guerra e a parziale riparazione dei danni da questa. L’iniziativa umana tende a rimettere al centro, in maniera ineludibili, le ragioni della vita. Esse valgono sia per la difesa dell’Ucraina, sia per la guerra in generale, perché, bambini a parte, nel campo di battaglia ci vanno tanto i soldati di un campo tanto quelli dell’altro. E sono tutti ragazzi, quasi bambini, ché quindici sedici anni in più di Kirin non fanno un uomo adulto o un vecchio a metà. La guerra che cessi subito, neppure un giorno dopo, ha bisogno di un grande gesto. È quello delle mamme “ neutrali”, cittadine in rappresentanza dei paesi dell’Europa Occidentale che a centinaia raggiungano in questi giorni Mosca e parlino alle mamme dei soldati russi affinché con il loro canto, il loro grido, il loro pianto, obblighino Putin ad arrendersi alla Pace. Quest’alleanza tra le madri, questo abbraccio tra donne , oggi, è l’unica via per fermare la guerra. Se l’uomo è portatore della morte e la donna della vita, lasciamo alle madri, il compito di fermare la guerra. E di salvare subito decine di migliaia di ragazzi. Loro, le donne, vincono sempre, hanno il coraggio e la pazienza. E la vita dei figli nelle mani. Ricordiamocelo tutti, domani, otto marzo, affinché non sia la festa, che retoricamente celebriamo, ma il giorno del riconoscimento della Donna, quale valore della Libertà e della Democrazia. Per la Pace, che è il luogo che la Vita ha scelto per vivere felice.
Ps: sono davanti alla tv, non ho fatto in tempo a inviare questo articolo, che un’altra immagine, più drammatica ancora, buca lo schermo e come un fuoco divampa negli occhi. Una famiglia con un solo trolley al seguito stava fuggendo da Kiev. Viene colpita da un ordigno. Si “salva” solo il padre. Cadono sull’asfalto insanguinato, la mamma e i suoi due bambini. Chi sappia inventare parole le inventi, le urli. E le lanci come freccia che rompa questo silenzio di morte. Io ho solo il pianto e per la prima volta mi sento così inutile…
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