di Maria Grazia Leo
Sono trascorsi solo 10 giorni ed è ancora vivo nell’opinione pubblica lo sconcerto, l’incredulità, lo stupore condito da punte di rabbia e delusione…e potremmo andare avanti per un’intera pagina -di questo racconto- nel descrivere i sentimenti con i quali i cittadini italiani si sono apprestati a vivere la sera del mercoledì 20 luglio…quando da Palazzo Madama il Senato ha ratificato il tramonto del Governo di unità/salvezza nazionale guidato dal Prof. Mario Draghi.
Essendo in estate si potrebbe dire che la notizia della caduta del Governo sia avvenuta come un fulmine a ciel sereno ma dietro questo semplice e ormai rinomato detto, si cela sul piano politico molto, molto di più di un fulmine a ciel sereno… un’operazione se non proprio premeditata, certamente ben preparata e servita a freddo in un ordine cronologico sapientemente scansionato da tre partiti della maggioranza: il M5S- la Lega e Forza Italia. L’unica forza di opposizione Fratelli d’Italia non ha potuto che trarne un conveniente beneficio.
Ma andiamo con ordine perché se questa è la cornice del quadro, il dipinto-in realtà- porta la firma in calce di colui che è stato l’autore che ha innescato tutto ciò: il presidente del Movimento dei 5 stelle, Giuseppe Conte. Era da un po’ di tempo che covava questa idea, probabilmente a causa di lontani rancori -nati- quando venne sfiduciato il governo Conte 2, con il ritiro dei ministri di Italia Viva e la sostituzione con il premier Mario Draghi. Tra Conte e Draghi non c’è stata mai un’empatia umana e in un certo senso neanche una sintonia politica…quello che li ha uniti sono stati la contestualità dei tempi con le emergenze pandemiche, economiche e sociali e la sapiente tessitura morale e istituzionale del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che ha ideato nel febbraio 2021 un esecutivo di alto profilo- senza formule politiche- con la partecipazione più larga dei partiti presenti in Parlamento per poter realizzare programmi e obiettivi ben definiti. Altrimenti l’unica strada che restava da intraprendere sarebbe stata quella delle elezioni. In questi 16 mesi di governo Draghi abbiamo assistito ad un anno di lavoro tranquillo, che si è più o meno fermato nel febbraio successivo quando scoppia la guerra della Russia contro l’Ucraina.
Da quel momento saltano gli equilibri politici interni alla maggioranza sul tema della politica estera più o meno velati da parte della Lega, Forza Italia e M5S che pur votando i conseguenti decreti legge che vengono proposti dal governo a favore dell’Ucraina sul piano degli aiuti umanitari, economici e militari e delle sanzioni irrogate alla Russia, pur approvando le risoluzioni parlamentari…iniziano a smarcarsi da una linea netta e chiara di condanna del presidente russo Vladimir Putin, sposando una forma di atlantismo ed europeismo a la cartè, lasciando una finestra aperta di dialogo e benevolenza verso il responsabile dell’aggressione dello Stato ucraino. Più si andava avanti con gli interventi -sempre in linea atlantista e europeista sul conflitto- da parte del presidente Draghi tenuti negli organismi europei riuniti per l’emergenza, più dall’altro lato si cercava di sminuire, alleggerire e depotenziare i provvedimenti o le dichiarazioni rese. Un caso su tutti ha visto protagonista i grillini -quando- sul tema del rifornimento di armi da rinnovare ed inviare a Kiev…hanno fatto manfrine al momento del loro consenso, chiedendo una maggiore presenza del premier nel riferire in aula, con l’aggiunta di rivedere le decisioni già prese e ridiscutere tutto, quando in realtà il primo decreto aveva stabilito che sarebbero restate in vigore fino al dicembre 2022.
Questa è stata la prima goccia a far traboccare il vaso. Sul piano della politica interna si è sviluppato -poi- tutto il resto, dagli scontri sul tema giustizia, al reddito di cittadinanza fortemente voluto e difeso da Conte, al salario minimo da regolamentare con legge secondo i grillini invece di lasciarlo alla decisione contrattuale, alla politica ambientale che secondo i cinque stelle con gli inceneritori e rigassificatori avrebbe cozzato con la loro linea sull’ambiente sostenibile, alle misure di sostegno alle famiglie e ai cittadini più deboli definite insufficienti di fronte alla crisi economico-sociale scaturita dalla guerra la quale ha comportato una ulteriore difficoltà sul piano energetico e alimentare. In pratica siamo giunti al primo Decreto aiuti che interveniva su tutti questi argomenti, a sostegno di lavoratori, imprese e famiglie ( es. bonus in materia energetica come le bollette da pagare con sconto, bonus benzina, bonus di 200 euro lavoratori dipendenti, pensionati, lavoratori domestici con un reddito inferiore a 35.000, fondi una tantum di indennità pro autonomi e liberi professionisti) sul quale Mario Draghi aveva posto la fiducia e al voto in Senato il movimento 5 stelle decide di non votarla, anzi spieghiamolo meglio, per evitare di votarla o di dire no, si astengono.
Un passo sempre prima di quel coraggio, che spesso non farebbe male nel far chiarezza politica invece che restare in un limbo istituzionale del vorrei non vorrei ma se poi, tipico di questo movimento politico, al quale siamo abituati a partire dall’attuale suo presidente, considerato come l’uomo dei penultimatum o delle scelte sospese in lunghe attese. Mai una decisione netta, mai uno scatto d’orgoglio in un movimento che ormai per quello che voleva essere all’origine- antisistema-populista-discontinuo o diverso dagli altri partiti- e per come si era presentato agli occhi dell’elettorato nel 2013 e nel 2018 ha conservato poco o nulla. Sono lontani i fasti elettorali dovuti a quel 33% conseguito nell’ultima legislatura, in cui risultò il primo partito, in cui si riprometteva di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, quando si gridava no alla Tav o quando ci si affacciava sui balconi di Palazzo Chigi gridando e gioendo per aver abolito la povertà…
Tutto fuffa e niente più. Oggi ce lo ritroviamo frammentato e diviso al suo interno, dopo espulsioni, abbandoni volontari e scissioni varie e con gli ultimi sondaggi che lo danno quasi sotto il 10%. Ovviamente questa decisione di non votare la fiducia ha spinto per senso di responsabilità il Presidente del Consiglio a rassegnare le dimissioni al Capo dello Stato che respingendole ha rinviato alla Camere Draghi, così parlamentarizzando la crisi di governo. Giungiamo perciò a quel mercoledì 20 luglio, giorno in cui Draghi spiegherà -in Senato- i motivi delle sue dimissioni dovute alla “ rottura del patto di fiducia” che sosteneva il suo governo di salvezza nazionale ma che dopo aver udito le tante spinte, i forti appelli nel non lasciare Palazzo Chigi giunti da circa 2000 sindaci, dal mondo delle associazioni del terzo settore, sindacale, industriale, dell’Università decide di chiedere alle forze politiche che lo hanno sostenuto sino ad ora, se sono ancora disponibili nel riprendere insieme- sotto la sua guida- il cammino per portare a termine il programma dell’esecutivo- legato sempre alle emergenze - fino alla fine della legislatura. E qui entrano in campo in diagonale gli altri due partiti che faranno cadere definitivamente l’esecutivo.
La Lega non vedeva l’ora di porre altri paletti a Draghi chiedendo discontinuità politica e programmatica per andare avanti senza i 5 stelle… ma ciò che ha meravigliato è stata la presa di posizione di Forza Italia, che da forza governista per natura, ed europeista di nascita, ha sterzato la sua linea schiacciandola dal centro verso destra facendosi abbindolare dai leghisti ed indirettamente dalla Meloni leader di Fdi, che pur non interferendo direttamente nella scelta che avrebbero dovuto prendere i suoi alleati di centrodestra, che in quel momento facevano parte della maggioranza a sostegno dell’esecutivo Draghi, ha trasmesso comunque il suo pensiero. Uscire dal governo ed andare alle urne. E così è tato…la risoluzione a firma del Sen. Casini a sostegno delle dichiarazioni rese dal premier e sulla quale Draghi porrà la fiducia non verrà votata dai leghisti e dai forzisti che non parteciperanno al voto-uscendo dall’aula- mentre il Movimento di Conte anche qui non si sbilancia -come sempre- optando per un ibrido parlamentare; resterà in aula -garantendo il numero legale- ma non si pronuncerà con un sì o con un no alla fiducia.
Quel 20 luglio- a Palazzo Madama- sembrava di assistere ad uno spettacolo teatrale dell’assurdo o del grottesco solo che il palcoscenico politico-istituzionale avrebbe meritato -diversamente- uno spettacolo più dignitoso, più presentabile agli occhi dei suoi cittadini/elettori con tutto il rispetto per il mondo della cultura e per il suo prezioso ruolo che funge e dedica ai nostri pensieri e alle nostre emozioni. Ma tant’è il dado- ormai- è tratto, il governo di salvezza nazionale è caduto e il 21 luglio il Presidente della Repubblica scioglie le Camere. Si andrà a votare il 25 settembre, la prima volta in autunno nella storia repubblicana. A latere di tutto questo e in conseguenza di ciò accenniamo -soltanto in breve- agli equilibri che si sono dissolti sul piano delle alleanze politiche che finora si erano formate o si stavano per formare con certezza certosina…
Tutto salta, tutto è stravolto… il famoso campo largo tra Pd e M5S evapora, i ministri di Forza Italia escono dal partito perché non condividenti la linea politica presa dal loro leader Berlusconi, Italia Viva e Azione provano a tenere in mano e in vita l’agenda Draghi per il futuro e pongono veti su eventuali nuovi rapporti politici con il M5S , Di Maio ed il suo gruppo appena nascente -Insieme per il futuro- resta appeso sul dove collocarsi e con chi… insomma è l’avvio di una giostra di alleanze elettorali in continuo movimento, quella che è partita da giovedì 21 luglio, alla quale ci dovremo abituare fino alle composizione delle liste e alla relativa presentazione dei candidati in corsa. . Ma ci rendiamo conto che siamo passati su un altro canale che sta trasmettendo un altro film un’altra storia, che ci riserveremo di raccontare e commentare più in là…a bocce ferme, non prima di aver elaborato meglio l’incredibile ed improvvisa fine di un governo e di un presidente del Consiglio così stimato e apprezzato per credibilità e prestigio in Italia, nelle cancellerie internazionali e nel mondo economico e del quale rimpiangeremo -tardi- il suo importante valore aggiunto profuso al servizio e per il bene dell’Italia.
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