Rinascita Scott. Il pentito Emanuele Mancuso in aula svela i segreti della cosca e dei carabinieri “infedeli”: “Sapevamo dei blitz”

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images Rinascita Scott. Il pentito Emanuele Mancuso in aula svela i segreti della cosca e dei carabinieri “infedeli”: “Sapevamo dei blitz”

  07 aprile 2021 19:58

di EDOARDO CORASANITI

C’era un carabiniere che chiacchierava con Emanuele Mancuso, 33 anni, figlio di Giovanni (L’ingegnere) e nipote di Luigi Mancuso, e gli raccontava di blitz imminenti sul territorio vibonese. Il collaboratore lo racconta durante il processo (ordinario) “Rinascita Scott”, in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme. Alla sbarra ci sono le cosche del vibonese guidate e condotte da Luigi Mancuso che “tutti lo definivano come un Dio”.

Mancuso descrive come “venivo informato di possibili operazioni. Per l’operazione “Costa Pulita”, ad esempio, l’abbiamo in diretta. Ma avvenivo costantemente avvertito su tutte le operazioni in cui partecipavano i carabinieri Tropea”.

Al pubblico ministero Antonio De Bernardo che lo esamina, Mancuso sottolinea che “il matrimonio di questo carabiniere è stato quasi pagato dalla cosca. Era funzionale alla cosca: era legato a mio padre a Scarpuni”.


Emanuele Mancuso non sarebbe stato l’unico a confrontarsi con carabinieri e forze dell’ordine. In un incontro avvenuto tra Luigi, Emanuele e Giuseppe Mancuso si parlò di tre soggetti che potevano essere collegati, in qualche modo, con i carabinieri: Roberto Cuturello, Pino Gallone, Assunto Megna.
Tutti e tre, da quello che racconta il 33enne collaboratore di giustizia, “non venivano mai toccati, mai arrestati. Insomma, facevano il doppio gioco”.


“SI parlò di quali erano i soggetti delle forze dell’ordine “infedeli”?” chiede De Bernardo. “Io non dissi a Luigi Mancuso la mia fonte e Luigi Mancuso aveva diverse fonti più importanti delle mie, tra cui un maresciallo dei carabinieri”, risponde Emanuele Mancuso.


Ma ci sarebbero stati anche membri dei Ros disposti a dialogare con la ndrangheta e a fare soffiate. E’ il caso di quanto Leone Soriano viene a sapere e comunica tempestivamente a Emanuele. E’ la notte operazione tra l’otto e il 9 gennaio 2018 e sul telefono di Emanuele Mancuso arriva un messaggio WhatsApp: “Non dormire a casa stanotte”. Scatta la paura e il giovane Mancuso se ne va in una località di montagna, solitamente utilizzata per le feste. I carabinieri si muovono ma il tintinnio delle manette colpisce il crotonese: è l’operazione “Stige” e la Dda di Catanzaro arresta 170 persone. Il pericolo era scampato ma la soffiata era fondata.

E di storie di soffiate e fascicoli aperti e mai arrivati a conclusione Emanuele Mancuso ne conosce altri. Come quando un giorno a casa sua si presenta l’avvocato Francesco Stilo (imputato in questo processo) con il fascicolo a suo carico per associazione a delinquere di stampo mafioso. Ma Emanuele, ancora, non aveva ricevuto nemmeno l’avviso di garanzia: l’indagine era ancora in corso e dunque coperta da segreto istruttorio. Nel fascicolo ci sarebbe stato il decreto autorizzativi per intercettazioni, le intercettazioni in cui membri della famiglia “Piccolo” dicevano di ambasciate da portare alla mia famiglie. Poi però dell’indagine non si sa più niente: “Ritengo che poi fu insabbiata”.

Parentesi anche su Giancarlo Pittelli, avvocato, ex parlamentare, agli arresti domiciliari proprio per “Rinascita Scott”: dopo la rapina alla Crai, dice Mancuso, Pinuccio Barba disse alla mia famiglia di nominare l’avvocato Pittelli perché “era l’unico modo per uscire dal carcere”. Emanuele Mancuso, in carcere a Lecce, fu scarcerato dopo 3 mesi dal gip e posto agli arresti domiciliari. 

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