L’avvocato Rosada Pezzo
09 giugno 2020 08:49di ROSADA PEZZO*
Ho voluto impostare questo mio intervento, definendo “non innocenti” i fratelli Antonio Emiliano e Saverio Curello, da anni impegnati nel settore delle pompe funebri sul territorio vibonese, non perché nutra dubbi circa la loro estraneità ai fatti addebitati ma con la chiara intenzione di voler definire la loro posizione diversa da quanti, anche condannati e notoriamente dediti alla delinquenza, illegittimamente si proclamano innocenti.
Certamente questa non è la giusta sede per dimostrare l’estraneità agli eventi contestati ai fratelli Curello ma, considerato il delicato settore in cui gli stessi operano nonché la loro notorietà d’impresa, appare necessario fornire al lettore il giusto apporto di informazioni di modo che possa essere riassegnata almeno, da un punto di vista umano, quella dignità tanto repentinamente strappata.
Leggendo tanto gli atti giudiziari tanto i giornali, il mio pensiero vola verso un vecchio film, capolavoro di Roberto Benigni “La Vita è Bella”. Film contestualizzato nel periodo del nazifascismo e nel quale si precludeva l’ingresso agli ebrei negli esercizi commerciali. Ebbene mi giunge presto un’analogia con le vicende di oggigiorno, dovremmo ad oggi anche noi abituarci a tale lettura all’interno di una società che vedrebbe precluso l’ingresso a soggetti pregiudicati all’interno di qualsiasi attività commerciale.
Da questa metafora una considerazione nasce spontanea: e se pensassimo che fornire servizi e prestazioni a gente pregiudicata possa costare, a chi pone in essere tale condotta, probabilmente una condanna per associazione mafiosa piena o di tenore quasi più accomodante nella forma del concorso esterno?
Ma chi è l’imprenditore colluso? Quali benefici trarrebbe dalla vicinanza ai clan? La risposta è facilmente riscontabile in quel rapporto di “do ut des” principio cardine posto alla base del rapporto sinallagmatico che lega l’imprenditore al mafioso. In altri termini quest’ultimo otterrebbe dal primo un sostegno e dunque un valido apporto idoneo di per sé a garantire l’intercedere del ciclo biologico del gruppo mafioso. Senza tale apporto il gruppo stesso troverebbe difficoltà a raggiungere i propri scopi, trattandosi nella specie di una conditio sine qua non; per altro verso l’imprenditore è un colluso perché otterrebbe dal mafioso una “ricompensa” ovverosia nel caso di specie un sostegno economicamente rilevante in termini di posizione monopolistica a favore dell’attività imprenditoriale gestita.
Il caso emblematico che vede coinvolti gli imprenditori Curello appare agli occhi di chi legge un caso come tanti altri, probabilmente saranno stati puntati tanti indici contro di loro, molti avranno dubitato della loro innocenza, molti li avranno a priori condannati, molti avranno privato la loro personalità del giusto valore morale che da sempre li ha contraddistinti.
Ecco il motivo del mio intervento, certamente non diretto a convincere il lettore a cambiare rotta, a persuaderlo della loro innocenza ma è necessariamente diretto a garantire il permanere di una dignità troppo presto calpestata.
Definire i fratelli Curello imprenditori collusi significherebbe così attribuire alla loro condotta idoneità a supportare gruppi mafiosi, condotta la loro che mal si concilierebbe con un operato diretto a interagire e rapportarsi con una popolazione promiscua e dunque non essendo di loro dovere effettuare un distinguo tra incensurati e pregiudicati ai quali fornire servizi o anche semplicemente offrire un caffè. Ma vi è di più in quanto dalla collusione dovrebbe nascere a favore dell’imprenditore persino un vantaggio economicamente rilevante che nel caso di specie sarebbe rappresentato dalla gestione monopolistica accordata agli odierni indagati nel settore dei servizi funebri.
Orbene, a tal fine giova menzionare per grandi linee come da attività investigativa, condotta dal sottoscritto legale, presso l’ufficio anagrafe del Comune di Vibo Valentia, risulti agli atti come in un lungo periodo di tempo che va dal 2009 al 2019, su un totale di 1546 persone decedute, i servizi espletati dalla ditta Curello sono stati 213, pari ad una irrisoria percentuale del 14% circa; ovviamente questi sono dati che mal si attagliano a una condizione di monopolio dei servizi funerari!
Nello stesso arco di tempo che va dal 2009 a 2019 il numero dei decessi avvenuti sul territorio del comune di San Gregorio D’Ippona, ha un totale di 227, di cui solo TRE espletati dall’agenzia funebre dei fratelli Curello, pari all’1,3%.!! In media circa Uno ogni quattro anni.
I dati non hanno bisogno di ulteriori commenti tanto sono in grado di smentire da soli l’assunto accusatorio!
Ma di quale monopolio stiamo parlando?! Di quale vicinanza ai clan.
Appare logico a tal proposito porre un quesito: dunque, se tali percentuali possano garantire una posizione di vantaggio monopolistico o sono solo il frutto di coloro i quali, per guadagnarsi da vivere onestamente, prestano attività nel campo funerario a soggetti di qualsiasi voglia spessore tanto moralmente riprovevole tanto di elevato rango professionale.
In merito alle propalazioni accusatorie poste in essere dal collaboratore Mantella, circa il trasporto con mezzi sanitari dei fratelli Curello, per motivi difensivi, tale sede appare poco idonea ad affrontare tematiche di ordine tecnico riferibili alla attendibilità dello stesso collaboratore. Pertanto sarà oggetto di successive considerazioni e riscontri valutabili e rilevabili in sede di giudizio, essendo anche in quella occasione muniti di elementi e dati di notevole rilevanza probatoria.
Fatte tali premesse e considerazioni il mio auspicio è quello di vedere in un futuro prossimo, rivalutata la posizione degli indagati dinnanzi a una proba autorità giudiziaria e sperare che nel frattempo abbia quantomeno tentato di riscattare l’essenza ultima di coloro i quali da sempre si sono distinti per qualità lavorative e mai delinquenziali. Colpevoli d’Innocenza!
AI POSTERI L’ARDUA SENTENZA!
*Avvocato
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