di EDOARDO CORASANITI
Formule, affiliazioni, riti. Sgarri, quartini, Crimine, locali. L’udienza di oggi al processo “Rinascita Scott”, in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme e che conta 328 imputati, è una fitta ricostruzione delle strutture della ‘ndrangheta. A raccontare degli ingranaggi sono i testimoni di giustizia citati dalla Procura della Repubblica (guidata da Nicola Gratteri) ed interrogati dalla pm Annamaria Frustaci: Giuseppe Vrenna, Luigi Bonaventura, Angelo Cortese, Giovanni Di Giacomo, Francesco Oliverio e Giuseppe Costa. Il controesame è previsto per l'otto febbraio e se ne occuperanno i difensori che vorranno procedere con domande e contestazioni alle parole dei collaboratori. Superate le questioni procedurali, oggi è il primo giorno in cui si entra nel vivo degli argomenti. Anche se gli argomenti trattati sono utili alla ricostruzione generale e strutturale della 'ndrangheta più che all'accertamento dei fatti contestati nei capi di imputazione. L'esame inizia alle 11.20 e termina dopo le 20, generando il disappunto di qualche avvocato che chiede di poter organizzare diversamente il calendario: per i legali c'è bisogno di studiare le udienze, leggere i verbali, organizzare il lavoro.
Si inizia da Giuseppe Vrenna, collaboratore di giustizia dal 2010, che negli anni ha scalato i vertici della criminalità fino ad assumere ruoli di vertice nella sua famiglia di ‘ndrangheta, i Vrenna di Crotone.
Risponde positivo: a Catanzaro c’era il Crimine e il riferimento era un Catanzariti, capo bastone di Catanzaro, collegato con i Nirta di San Luca. Occhi puntati anche sui Mancuso di Vibo Valentia, città dove esisteva il Crimine, e ai rapporti tra con San Luca: "Mancuso-Piromalli-Pesce era come se fossero un’unica famiglia".
Il secondo collaboratore sentito è Luigi Bonaventura, collaboratore dal 2007, della famiglia Vrenna-Bonaventura: già colpevole di omicidio, estorsioni, associazione a delinquere. “Faccio parte della ‘ndrangheta da quando sono nato”. La pm insiste su che cosa è il Crimine: “Ne esiste uno supremo, da dove partono tutte le organizzazioni per fare altri locali in altri posti. Ed è quello definito Supremo, anche se non è il vero capo rispetto ad altre. L’anziano fa sì che ci sia una salvaguardia, come un custode delle regole di ‘ndrangheta, come un presidente della Repubblica”. Bonaventura è chiaro concetto: il Crimine camminava, cioè cambiavano i vertici e le capitali, fino a quando poi San Luca non ne diventa quello centrale e inamovibile.
Ma sopra al Crimine c'era un'altra figura: l'invisibile. Colui che era capace di collegare i mondi della 'ndrangheta e della massoneria.
Terzo collaboratore Angelo Cortese, di Cutro. In passato ha ottenuto “la dote” di Crimine. Racconta anche delle sue affiliazioni e delle diramazioni regionali e non solo della ‘ndrangheta: da Crotone a San Luca, considerata “La Mamma”, punto di riferimento e cuore della criminalità organizzata in Calabria.
Viene raccontato del matrimonio con di Salvatore Pelle, figlio di Antonio Pelle, a cui Cortese partecipa per conto di Nicolino Grande Aracri: una festa con 2200 invitati circa. Oltre ai rapporti con le altre cosche del Crotonese, vengono narrati i legami con i vibonesi, reggini, anche per la realizzazione di una maxi-rapina di 3 miliardi nella città pitagorica nel 2000, poi sventata.
Il quarto è Giuseppe Maria Di Giacomo, mafioso siciliano, vicino ai Laudani e partner dei corleonesi di Totò Riina.
Si tesse la tela dei rapporti con i Mancuso, Condello, Piromalli e dell'omicidio del giudice Scopelliti, ucciso perché doveva rappresentare l'accusa in Cassazione al processo contro Cosa Nostra.
Totò Riina, secondo Di Giacomo, collaborò con i Piromalli e De Stefano, i quali avrebbero partecipato alla cosiddetta stagione stragista. Ma anche con i Vibonesi, con i Mancuso di Limbadi, i rapporti si consolidavano tramite scambio di favori per la commissione di omicidi e vendita di armi.
Di Giacomo parla anche della "Stella", riferita ai capi crimine calabresi e che quindi può essere paragonata alla Cupola siciliana: Franco Cocotrovato, Peppe e Paolo De Stefano, Pino Piromalli, Peppe Morabito, Umberto Bellocco e Luigi Mancuso.
Anche il collaboratore di giustizia di Siderno, Giuseppe Costa, ha raccontato dei rapporti di forza e di ciò che decideva le logiche di potere del territorio di suo riferimento.
Sentito Francesco Oliverio, collaboratore di giustizia, di Crotone, che ha riferito di come Luigi Mancuso fosse a capo del Crimine di Vibo Valentia e la 'ndrangheta fosse in grado di dialogare con la massoneria e le istituzioni.
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