di RITA TULELLI
Ogni episodio di violenza non riguarda mai soltanto chi lo subisce o chi lo commette. Dietro l’impatto immediato e visibile, c’è un’eco che si propaga nel tempo e nello spazio, raggiungendo l’intera comunità. Le conseguenze sono profonde e, nella maggior parte dei casi, restano invisibili fino a quando non si trasformano in costi economici e umani impossibili da ignorare. Sul piano sanitario, la violenza genera una richiesta immediata di risorse: interventi di pronto soccorso, operazioni chirurgiche, terapie riabilitative e supporto psicologico.
Ma i danni si estendono ben oltre l’emergenza. Le vittime possono avere bisogno di cure per disturbi post-traumatici, ansia e depressione per mesi o anni, mentre il personale sanitario si trova a lavorare in condizioni di sovraccarico. Ogni euro speso per gestire queste conseguenze è un euro sottratto alla prevenzione e al miglioramento di altri servizi essenziali. L’impatto economico si manifesta anche nella perdita di produttività.
Chi è coinvolto in un episodio violento può essere costretto a lunghe assenze dal lavoro, così come familiari e amici impegnati a offrire sostegno. Lo stress e i traumi psicologici riducono la capacità di concentrarsi e di rendere sul posto di lavoro. Nei quartieri segnati da episodi frequenti di violenza, si osservano negozi che abbassano le serrande, investimenti che si spostano altrove e un calo della fiducia nel territorio.
L’insicurezza percepita allontana nuove imprese e frena lo sviluppo, innescando un circolo vizioso difficile da interrompere. C’è poi un aspetto meno visibile ma altrettanto grave: i traumi intergenerazionali. I bambini che crescono assistendo o subendo violenza assorbono modelli relazionali distorti, dove la paura e l’aggressività diventano strumenti di comunicazione.
Questo aumenta il rischio di problemi di salute mentale in età adulta e può portare a replicare la stessa violenza nelle relazioni future. Anche il rendimento scolastico ne risente, perché vivere in un contesto instabile e insicuro significa convivere con uno stress cronico che ostacola l’apprendimento. Contrastare la violenza, dunque, non significa solo punire i responsabili, ma agire prima che l’atto si compia.
Servono programmi educativi che insegnino la gestione delle emozioni e il rispetto reciproco, servizi di supporto psicologico accessibili e il coinvolgimento attivo delle comunità nella creazione di spazi sicuri. Ogni atto di violenza è come una pietra lanciata in uno stagno: le onde si allargano fino a raggiungere anche chi pensa di esserne lontano.
Capire questa dinamica è il primo passo per costruire una società in cui prevenzione, sostegno e ricostruzione non siano eccezioni, ma regole. Investire nella sicurezza e nella salute collettiva non è un lusso, ma la base stessa di un futuro sostenibile per tutti.
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