di SERGIO DRAGONE
E’ andato via in silenzio l’ultimo dei grandi mattatori del teatro italiano, Roberto Herlitzka, che ha lasciato una sia pure lontana traccia al Politeama di Catanzaro dove, nel febbraio del 2005, quasi venti anni fa, ha recitato uno strepitoso “Re Lear” per la regia di Antonio Calenda.
La circostanza mi è stata ricordata da due storiche “colonne” della Fondazione, l’iperattiva segretaria Barbara Morelli e l’insostituibile macchinista Giocondo Battaglia, che mi hanno inviato per whatsapp un collage di Paolo Turrà che immortala l’evento.
Herlitzka, italianissimo ma di origine ceca, è l’attore che ha elevato al rango di “scienza” l’arte della recitazione, che è riuscito ad associare al talento naturale l’indispensabile bagaglio di tecnica e di metodo.
Ho avuto il grande onore di incontrarlo qualche anno fa al Teatro Basilica di Roma, prima dell’ennesima rappresentazione di Enrico IV, assieme al grandissimo Tommaso Lepera che di Herlitzka è stato sincero amico e apprezzatissimo fotografo di scena.
Discepolo prediletto di Orazio Costa (lo stesso mitico docente di Nino Manfredi, Gianmaria Volontà, Rossella Falk, fino ad arrivare a Pierfrancesco Favino), Roberto mi ha regalato in quell’occasione una stupenda definizione del mestiere dell’attore: l’attore – mi disse - diventa uno strumento, composto da voce e corpo, con il quale è possibile eseguire la “musica del teatro”, dispensando emozioni e messaggi. Occorrono padronanza, controllo, conoscenza dei meccanismi della respirazione.
Herlitzka non è stato solo teatro, ma anche cinema, ha interpretato, tra gli altri, Aldo Moro in “Buongiorno, notte” di Marco Bellocchio e il personaggio del cardinale ne “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino.
Il ricordo di questo gigante della recitazione ci riporta alle prime, straordinarie stagioni del Politeama, dove la prosa aveva un ruolo fondamentale.
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