di ROBERTA CHIARELLA
E’ facile perdersi tra le note di questo disco, farsi trascinare dentro le atmosfere musicali, rimanere catturati dalle suggestioni testuali. E’ un disco convincente quello di Salvatore Gullì, un certosino lavoro artigianale, frutto di una miracolosa sintesi fra la “sapienza poetica” del cantautore e gli arrangiamenti musicali davvero curati in ogni dettaglio, in ogni respiro. Senza ombra di dubbio c’è tutta la sua passione, la sua inquietudine esistenziale, il suo forte impegno politico, la sua voglia di libertà, la sua anima poetica, capace di fermare attimi e tradurli in bellezza: una tessitura musicale e testuale raffinata, impreziosita da intarsi poetici intensi, come nella canzone: “Folle”, in cui canta: “essenza fuori di me di ciò che di me inseguo/per sentire il divino”, il cui lirismo quasi mistico ricorda canzoni di Battiato.
Mentre in ”Anima mia” dà espressione all’esperienza vertiginosa dell’amore quando dice: “tu mi scavi dentro più che mai/non ci serve dire niente ormai”. Versi che sanno restituire il significato profondo dell’amore, quello di un’esperienza radicale, che ci mette a nudo, smascherando ogni possibile menzogna.
Bella la copertina e il titolo del disco, che restituiscono in modo efficace il senso del lavoro: viviamo in un tempo segnato dal disorientamento, dal naufragio delle grandi narrazioni, dallo sfaldamento delle certezze. “Lacera è l’Europa/un cumulo di impurità”, canta Salvatore, per sottolineare come questa nuova terra promessa e dalla forza salvifica stia cedendo agli interessi economici, a un capitalismo onnivoro, che lascia solo macerie davanti a noi.
Un tempo sembra dissolversi, frantumarsi; si aprono squarci pericolosi che sembrano inghiottire una società stanca, sfibrata da un egoismo nevrotico; un tessuto culturale ampiamente fratturato e disanimato, speranze scorticate dall’amarezza delle disillusioni. In questo contesto avvertiamo il pericolo di un naufragio epocale, mentre restiamo prigionieri delle nostre paure. Salvatore però non cede alla rassegnazione, non sembra assolutamente vinto dal fatalismo, conserva un’anima brigante e ammonisce i nuovi tiranni a non illudersi, perché ci saranno :” tanti e tanti stanchi più di me/ di nuovi derubati, stanchi più di me/di morire rassegnati, stanchi più di me” E solo così, riscoprendo la passione civile e sociale, che “le utopie dei deboli sono le paure dei forti” , esercitando il nostro “dissenso” e una ferma resistenza civile, in un tempo in cui “troppe luci sono accese/troppe mani tese”, a ordire inganni e illusioni, a manipolare in modo subdolo le coscienze promettendo una falsa libertà.
Solo così ha senso quella vibrante preghiera laica che, con accenti lirici, si leva imperiosa in “Rotta del tempo” per contrastare la distopia imperante del nostro tempo, che avanza senza nessuna visione: “Rotta del tempo invertiti/luna glaciale riscaldati”, ma questo è possibile se torniamo a cullare utopie, se non cediamo alle tentazioni nichiliste, se come nuovi Argonauti, seguiamo rotte segrete illuminate da nuovi sogni, se torneremo ad ascoltare i nostri padri greci.
Solo così, per citare un testimone appassionato di speranza, Ernst Bloch: “grande è la ricchezza di un’epoca in agonia”.
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