Le coste della Calabria rischiano di perdere mercato, investimenti e identità per un modello di aste che congela la competizione invece di alimentarla
13 agosto 2025 11:05di SANDRO SCOPPA*
"La Calabria, con oltre ottocento chilometri di costa tra Tirreno e Ionio, è una delle regioni italiane più ricche di potenzialità turistiche. Spiagge come Tropea, Soverato, Diamante, Capo Vaticano, la Costa dei Gelsomini e la Costa Viola attraggono ogni anno migliaia di visitatori, grazie a scenari naturali unici e a un tessuto di imprese balneari in gran parte a conduzione familiare. In teoria, un ecosistema perfetto per una concorrenza reale, fatta di sfide quotidiane tra stabilimenti vicini per offrire servizi migliori, prezzi competitivi e innovazioni. In pratica, un sistema soffocato da vincoli amministrativi e da un’idea di “gara pubblica” che, anziché stimolare il mercato, lo congela.
L’asta per l’assegnazione delle concessioni balneari viene presentata come il trionfo della concorrenza. Ma nella realtà calabrese, come in gran parte del litorale italiano, essa replica il meccanismo che Anthony Downs, nel suo celebre “Teoria economica della democrazia”, individuava nella competizione politica: intensa solo nella fase preliminare, la gara si spegne subito dopo l’assegnazione, lasciando il vincitore in una posizione di monopolio fino alla fine del mandato. «I partiti politici in una democrazia formulano programmi unicamente come mezzo per ottenere voti… come un imprenditore che vende politiche in cambio di voti invece di prodotti in cambio di denaro». Sostituendo i partiti con gli operatori balneari e il voto con l’offerta in un’asta, il risultato è identico: pochi mesi di competizione apparente e anni di gestione senza rivali.
Nella nostra Regione, detto schema rischia di neutralizzare del tutto la concorrenza quotidiana che già esiste. Lungo il Tirreno, tra Pizzo e Nicotera, e sull’Ionio, da Catanzaro Lido a Roccella, la vicinanza tra stabilimenti spinge gli operatori a migliorare costantemente servizi e strutture. Un’asta pubblica generalizzata non farebbe che sostituire questo confronto continuo con un diritto esclusivo che blinda il settore per un decennio o più, favorendo chi dispone di capitali e relazioni piuttosto che chi ha costruito valore nel tempo.
Il problema vero, però, è strutturale: un’impresa balneare su suolo demaniale non può cedere l’attività separatamente dal titolo concessorio. In qualsiasi altro ambito, un ristoratore o un albergatore può vendere l’azienda a un acquirente disposto a pagare il giusto prezzo; nel settore balneare, invece, questa possibilità è preclusa. È un vincolo che impedisce il ricambio imprenditoriale, ostacola l’ingresso di nuovi soggetti e scoraggia investimenti. La rimozione di questo divieto sarebbe la riforma più efficace per generare concorrenza reale, ma il dibattito pubblico lo ignora, preferendo invocare le gare come soluzione universale.
Gli effetti dell’incertezza sono già visibili. In vista dell’applicazione della direttiva europea e delle gare annunciate, molte imprese calabresi hanno sospeso i progetti di ampliamento o di rinnovamento delle strutture. Chi investirebbe decine di migliaia di euro per migliorare un lido sapendo che, alla scadenza della concessione, potrebbe essere costretto a cederlo senza alcun indennizzo? La stagione estiva 2025, già penalizzata da un calo di presenze nei mesi centrali rispetto all’anno precedente, registra anche il rallentamento degli investimenti, con l’effetto di ridurre la qualità complessiva dell’offerta turistica e di compromettere l’attrattività della regione.
A peggiorare il quadro c’è la pressione dell’Unione europea, che spinge per applicare un modello uniforme di gara a tutte le coste italiane, senza distinguere tra contesti dove il mercato funziona e contesti dove è bloccato da posizioni dominanti. Altri Paesi europei, come la Francia e la Spagna, modulano durata e modalità delle concessioni in base alle caratteristiche locali e al livello di investimenti richiesti, mentre in Calabria si rischia di calare dall’alto bandi standardizzati che ignorano la natura frammentata e familiare del settore.
Il risultato sarebbe paradossale: in nome della concorrenza, si favorirebbero concentrazioni di mercato in poche mani, spesso legate a grandi gruppi o a capitali esterni, pronti a rilevare tratti di costa senza dover riconoscere nulla per l’avviamento costruito in anni. Una concorrenza di facciata che distrugge quella vera, sostituendo operatori radicati nel territorio con gestori che vedono nella spiaggia soltanto una voce di bilancio.
Se si vuole davvero rafforzare il mercato, bisogna partire dalla libertà di cedere l’attività, eliminando vincoli inutili e garantendo che chi ha investito possa recuperare il valore creato. Senza questa riforma, le aste non sono altro che un esproprio mascherato: un lampo iniziale che acceca, seguito da un lungo buio di monopolio. La Calabria non ha bisogno di fuochi d’artificio amministrativi, ma di regole che lascino respirare un mare che, nonostante la crisi, conserva una bellezza e un potenziale che pochi in Europa possono vantare".
*Avvocato
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